Regia di James McTeigue vedi scheda film
La poesia più famosa di E.A. Poe è l’aggancio per romanzare la storia di uno dei più grandi scrittori dell’800. Poe fu trovato in stato semicosciente su una panchina di un parco di Baltimora la mattina del 5 ottobre 1849 e morì due giorni dopo. Da qui e a ritroso si dipanano le vicende del film ipotizzando gli ultimi giorni dello scrittore alla caccia di un serial killer che compie efferati delitti ispirandosi alle sue opere. Finzione, ovvio, ma intessuta di brandelli di verità biografiche. Lo stato di prostrazione psicologica che attanagliò Poe nell’ultima parte della sua vita per la morte dell’amata moglie; la dipendenza dall’alcool e la frustrazione per il successo inferiore alle aspettative delle sue opere; lo straordinario acume investigativo dello scrittore che nella finzione del film viene usato per risolvere il caso del killer e che nella realtà, dice la leggenda, gli consentì di risolvere dei casi criminali solo leggendone le cronache sui giornali, sono verità che in mano a James McTeigue, già realizzatore di V per Vendetta, diventano strumenti narrativi. Così dalla rappresentazione del delitto narrato nel racconto I delitti della Rue Morgue prende vita l’investigazione del nostro eroe. Patetico. Non è dato sapere quali fossero le intenzioni dei realizzatori, il soggetto sarebbe anche interessante, la ricostruzione storica è anche puntuale ma si limita ad una patinata estetica dark dipingendo una Baltimora immersa in una bruma gravida di ombre. L’estetica dall’ambizione gotica – disattesa - cozza in modo stridente con lo sviluppo della storia e con il protagonista, John Cusack , che sfoggia un improbabile pizzetto da appuntato dei carabinieri, incapace di dare spessore al personaggio per conclamati limiti espressivi. La storia dell’investigazione è fin troppo lineare assommando indizi macabri – con l’inserto di un paio di scene splatter – desunti dalle elaboratissime macchinazioni del killer in grado di ricostruire con maniacale precisione i delitti dei racconti di Poe. Il verboso didascalismo dei dialoghi si inzuppa quindi de Il pozzo e il pendolo, Il barilotto di Amontillado, Il Cuore Rivelatore, La maschera della morte rossa, La verità sul caso di Mr. Valdemar. Ogni tanto svolazza un corvo, così, per ricordare di cosa si sta parlando. In effetti la cosa più divertente per chi assiste e abbia una buona conoscenza dello scrittore americano è indovinare le opere a cui il film fa riferimento, una digressione che allontana un po’ la noia di una storia che mostra la corda troppo presto e che si sfalda completamente nel momento in cui, finalmente, per esclusione, inevitabilmente, l’assassino si rivela. Spiegone finale, motivazioni risibili a giustificazione di un’improbabile ridda di morti e il tradimento completo dello spirito di Edgar Allan Poe e delle sue opere acide, acute, sospese in un cupo malessere che traeva linfa dalla melanconia dello scrittore e dalla malattia che lo stava consumando. Roger Corman è lontano, molto. The Raven violenta un mito inarrivabile impastando un guazzabuglio di action, horror e torture in una fredda meccanica investigativa senza pathos che strizza l’occhio a Seven e Saw. In un cortocircuito narrativo, direttamente dall’800 ci si trova catapultati nelle istanze narrative di un neo horror già defunto e rimosso.
In realtà la domanda che ci si pone è : perché?
Ma il film finisce, e nulla più.
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