Regia di Andrew Dominik vedi scheda film
“Cogan Killing Them Softly” (id., 2012) è il terzo lungometraggio del regista neozelandese Andrew Dominik.
Pellicola che vorrebbe circumnavigare il cinema pulp-retrò (fuori tempo massimo) con antefatti teatrali, gusti pastosi e verbosità composite. Nulla che si snodi e che arrivi a qualcosa: un’azione allungata che pare ritorni senza segnare la vita e le vie di ciascun uomo lì per caso e per passar tempo mentre la crisi incombe (nel 2008) quando gli schermi televisivi inondano di promesse un ‘popolo’ stremato da bevute, pistole, aperitivi, cazzeggi, donne e illusioni di un sogno (quello visuale e metaforico di un fumo da sballo ed evanescente).
Ma ciò che il film fa vedere (e sentire) è lontano da ogni racconto succulento e da personaggi che s’immergono in un paesaggio provinciale americano (pieno di contraddizioni e mortifero). Tutte (ill)azioni e illusioni quelle di un regista che perde l’equilibrio da subito e ogni buona recita è svuotata dal puro (se così si può chiamare) significato recondito e si perde in linguaggi sulfurei, sproloqui inverecondi e frasari innocui. Spargendo dialoghi a iosa che si richiamano a vicenda e precotti senza condimento, la storia si incanala su sentieri previsti e meccanismi telefonatissimi! Un’avvicendarsi di facce e di parole stucchevoli e quanto mai ripetitive. Insomma senza nullo da dire, un film deludente e piatto: irriconoscibili al contesto le bravure gettate alle ortiche del trio attori Pitt-Liotta-Gandolfini.
Jackie Cogan è alla fine un malvivente senza un movimento che sia uno: un ghigno che nasconde un atto recitativo scomposto e con poca verve. Purtroppo il resoconto è (quasi) impietoso: a metà film si avrebbe la voglia di uscire (incredibile da dirsi per uno spettatore che la sola non vorrebbe mai abbandonare). Purtroppo il testimone amaro di una pellicola riposta nel cassetto e posticcia nel risultato è nel linguaggio poco ricercato e tanto meno sentito. Una sceneggiatura che diventa alla fine mielosa: strano a dirsi per una storia che vorrebbe ricercare il dirompente (interiorizzato) dei personaggi. E’ dimesso anche il modo di inquadrare, quasi un commento (già) finale della poca voglia e della riuscita (mesta) di un film facilmente dimenticabile. La struttura a incastri minima diventa quasi ridicola e il duo (deidialoghi interminabili (tra feticci scambievoli e a loro volta con nessuno) faccia a faccia è scontato e oltremodo poco credibile. E sì che tra un aperitivo, una birra, delle olive e un’altra ordinazione le inquadrature pasticciano e il (buon) Cogan osa rimproverare il troppo bere del suo (amico) Mickey e si lascia andare a battute di amministrazione (da cartellino). Un provincialismo (consunto) di messa in scena che fa intristire uno spettatore già in tono da fuga (minore) e un insulto (interiore) da sfiga (maggiore) per aver pagato un biglietto e aver perso tempo. D’altronde il linguaggio stretto (esentato di musiche di raccordo) e svolazzante degli incontri è di una ‘sguaietezza’ ridicola e di un commisurato verso di parole sobrie introvabili. Niente di scandaloso. Ma a che pro uno sterminato (esagerato…) sproloquio volgare tra donne, bevute e incontri? …. Meglio esserne fuori. E poi che dire del ‘ralenty’ interminabile per una pallottola che non arriva mai e per dei visi che si aprono con una plasticità da fumetto ‘insulsamente’ da finto disincanto? Una scena minima, minore, mediocre, semiseria e comica (al ribasso di molti punti). E’ vero che Sam Shepard senza muoversi batte tutti nel parlare (sempre parole) con Cogan…ma sembra pochissimo per un film che dovrebbe dare molte cose…le premesse naufragano tutte. Il finale politicamente scorretto (contro Obama) rasenta qualcosa di positivo ma non salva una pellicola vanamente intellettualistica e al ribasso di un mediocre senza significato. Rapina e non rapina, morto e non morto, denaro e non denaro, nell’America dei ‘solitari’ contro qualcuno il silenzio è d’obbligo per chi non cerca il vero dileggio a qualcosa che somiglia a una bruttura politica (oltre oceano). Scontato ogni modello e anche ogni bevuta contro tutto, mentre il fumo sale e il sonno (cinematografico) è già dentro al sogno di una poltrona abbandonata per tornarsene a casa.
Film sopravvalutabile per gli attori (in tono mediocre) ma resta una delusione oltremodo scorcentante con una regia che non esalta e riesce (anche) ad abbassare il livello recitativo. Pretestuoso.
Voto: 4,5.
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