Regia di Jean-Jacques Annaud vedi scheda film
Nel nulla di un Medio Oriente spoglio, povero e arretrato irrompe una prospettiva tanto allettante quanto destabilizzante.
Black Gold la chiamano gli occidentali perché reca seco la “virtù” della ricchezza smisurata e del benessere a buon mercato. Ma molto presto appare chiaro quali altre (ben più autentiche) virtù essa tenda ad oscurare…
C’era materiale per una grande storia in questo film.
Sullo scontro fra uomini latori di modi di vedere il mondo in antitesi fra loro ed un giovane principe di poche speranze nel mezzo, quale ago della bilancia chiamato a catalizzare le ragioni di una moltitudine troppo spesso umiliata ed offesa dalle ragioni del potere (nickoftime).
Una rivalità profonda fra il saggio invischiato nella palude dell’ortodossia più inflessibile e l’arrivista che stenta a coniugare il buon senso con la corruzione dei cuori. Fra chi era disposto ad usare i figli dello storico arcinemico come merce di scambio e chi credeva che ciò che si fosse potuto comprare non avrebbe avuto valore. Idiosincrasie insanabili che trapelano dalla bocca del Sultano Amar/M.Strong come dagli occhi dell’Emiro Nesib/A.Banderas.
La storia, finanche, dell’unificazione di una nazione e della trasformazione di un popolo diviso in tribù di beduini in nuovi magnati del mondo. La Storia della scintilla e del germoglio dell’Arabia moderna.
E invece nulla di tutto questo. Quella raccontata da Annaud si è rivelata un’epopea povera (paradossalmente) di afflato epico; incapace di struggere, di appassionare, di destare interesse per le sorti delle avverse fazioni, oltre al fatto che il protagonista del film (T.Rahim) è incapace di trasudare anche solo una stilla di carisma
Una storia fin da subito viziata da un montaggio deprecabile, che fa delle prime iniziali sequenze un lungo e noioso preambolo sul background storico ed umano dei fatti descritti. Poi il fuoco della passione tende a crescere (inevitabile quando si scoprono i veli della inarrivabile F.Pinto e, contestualmente, si alza il vento di guerra), ma senza che la sceneggiatura (anche) di Annaud si sottragga a spiacevoli schematismi ed alle solite semplificazioni narrative.
Uno di quei film che non rimangono a lungo impressi nella mente, ma quel tanto che basta per non convincere ad una seconda visione.
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