Regia di Adrian Grunberg vedi scheda film
A Pueblito, baraccopoli di detenzione messicana, tutto è corrotto. Polizia, medici, carcerati: ognuno fa la sua parte nella cloaca en plein air, dove il più fortunato raggiunge l’oblio con una siringa e gli altri, casomai, si prendono il cimurro o una pallottola. «Pueblo piccolo, grande inferno. Questo è Pueblito: Dio vi protegga». Capita che nel girone dantesco incrocino le loro strade il rapinatore Driver e un bambino di 10 anni. Il film di Adrian Grunberg - debutto dopo lunga militanza nelle seconde unità di regia - trasuda genuino entusiasmo a ogni sequenza, ma l’esuberanza di codici finisce per diventare incertezza. Tra riferimenti Usa a Tarantino (Le iene citato nel prologo) e Rodríguez (ralenti su duelli collettivi in piazza) e modelli messicani per i crocevia umani nel microcosmo (Cuarón e l’Iñárritu di AmoresPerros), l’opera rimbalza da toni lievi a squarci tragici. Indeciso se mettere in scena un disagio corale o una storia di formazione uomo/bambino, Grunberg perde la narrazione sociale in rivoli thriller all’inseguimento di un bottino scomparso, usa il carrello come figura grammaticale centrale per mappare il territorio, salvo poi contraddirlo con continui primi piani emotivi in camera a mano. Gibson si adegua e diviene a sua volta ibrido, con un colpo alle leggerezze action di Arma letale e uno allo spirito educativo di L’uomo senza volto. Ci teniamo stretti il ritmo indiavolato e un buon ritratto di sporcizia morale. Il resto è (piacevole) confusione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta