Trama
Francia 1960. Massaoud, 9 anni e di origini algerine, è cresciuto ad Aubervilliers ed è perfettamente integrato nella realtà che lo circonda. A causa di una grave malattia della madre, il padre si trova costretto ad affidarlo ai servizi sociali. Il piccolo viene assegnato a una coppia senza figli residente in un villaggio del Berry. Gisèle, la madre affidataria interpretata da Nathalie Baye, decide di celarne l’identità agli occhi della popolazione locale, ma soprattutto del marito Georges (Gérard Depardieu), ex-militare reduce della guerra d’Indocina, piuttosto reazionario, xenofobo e in particolare anti-arabo, essendo in corso la fase più aspra della guerra d’Algeria. Gisèle tinge allora di biondo i capelli del piccolo e gli trasforma il nome in Michou d’Auber. Dapprima intimidito dal burbero e debordante patrigno, Michou finisce con l’accettare la nuova situazione, si affeziona sempre più alla coppia che lo accudisce, segue con curiosità l’esuberante Georges nel suo orto, nel suo piccolo allevamento di conigli, nel bistrot dove gozzoviglia con gli amici, tra battute volgari e spesso razziste, ricordi di guerra e risate grasse. Un bel giorno però, l’inganno viene svelato, mettendo a repentaglio i vincoli affettivi che si erano instaurati e le relazioni con il resto della comunità locale.
Note
Thomas Gilou, autore pressoché sconosciuto in Italia, realizza una commedia di buoni sentimenti riuscendo ad evitare facili luoghi comuni sui rapporti tra adulti e bambini, tra diverse etnie o sui valori che rendono possibile la convivenza umana. Se, da un lato, la divertita descrizione della provincia francese più profonda allegerisce i toni del film, dall’altro, il tema dell’identità che rischia in ogni momento di essere svelata gli conferisce la giusta dose di tensione. La vicenda ricorda inevitabilmente «Il vecchio e il bambino» (1967), film molto autobiografico di Claude Berri, nel quale, durante l’occupazione tedesca, un burbero e bonario contadino antisemita (Mihel Simon) accoglieva presso di sé un bambino, ignorandone le origini ebraiche. Dopo «Boudu» di Gérard Jugnot (2004), remake di «Boudu salvato dalle acque » di Jean Renoir (1932), Gérard Depardieu torna a riprendere un personaggio già interpretato nel 1932 dall’immenso Michel Simon e anche in questa occasione riesce a non sfigurare. D’altronde, il ruolo gli calza a pennello : quale bambino non vorrebbe essere iniziato e protetto da un «gigante buono» di tale stazza fisica e umana? Non meno determinanti sono i due coprotagonisti della vicenda. Nathalie Baye, sempre più convincente per la matura intensità dei ruoli che interpreta, riesce a mantenersi raggiante come se per lei gli anni non passassero. Nel suo ruolo di madre affidataria mescola abilmente autorevolezza e amore disinteressato, astuzia e dialoghi rigorosamente onesti nei confronti del piccolo Michou. Il marito è certamente un brav’uomo, a dispetto delle sue idee sorpassate, ma il loro matrimonio deve aver conosciuto giorni migliori. Si inserisce così un terzo personaggio, Jacques, l’insegnante della scuola comunale, l’unico al quale Gisèle ha confidato sin dall’inizio la vera identità di Michou. Jacques è teneramente innamorato di Gisèle. Quest’ultima esita. Forse vorrebbe accettare il corteggiamento. Nell’economia generale del film, la relazione fra i due viene solo sfiorata, ma offre a Mathieu Almaric l’ennesima occasione di esprimere il suo indiscusso talento. Uno di quei buoni film francesi che tardano ad arrivare in Italia. Peccato.
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Commenti (1) vedi tutti
Film delicato con una storia che prende e commuove. Consigliatissimo.
commento di gisi1