Regia di Özcan Alper vedi scheda film
Il ritorno, per caricarsi di un afflato letterario, deve partecipare al dolore della perdita, del rimpianto, del rimorso. Deve portarci a rivedere, per l’ultima volta, qualcosa che sta per scomparire, o farci percepire la fredda scia di vento lasciata da qualcosa che se ne è appena andato. Il rientro solitario, verso un’intimità isolata e remota, fa pensare al Sokurov di Madre e figlio, in cui i due protagonisti si aggrappano disperatamente l’uno all’altro, in mezzo ad un vuoto sterminato, e accanto all’incombente presenza della morte. Per Yusuf, che, dopo dieci anni trascorsi in carcere, riabbraccia l’anziana madre nella sua casa sperduta tra le montagne della Turchia, la ritrovata libertà è solo la triste occasione di prendere congedo dal mondo: Yusuf è infatti gravemente malato, ed è ormai senza speranza. Suo padre non c’è più, e nemmeno la sua fidanzata di allora, che nel frattempo si è sposata. Gli amici sono invecchiati, in parte abbrutiti dalla rassegnazione ad una vita che non ha mantenuto le promesse della gioventù. Gli ideali che avevano portato Yusuf, studente di matematica, a manifestare per le strade, si sono spenti per sempre, soffocati dalla repressione politica, e dall’immobilità di un contesto sociale in cui tutto langue in un’inutile attesa di riscatto. In questa situazione di stallo, sforzarsi di vivere significa accontentarsi delle briciole, cercare di strappare con le unghie, ad un’esistenza avara, e consumata dalla storia, quel poco che rimane da prendere. La lotta di Yusuf prosegue entro i ristretti confini del suo microcosmo familiare, nel breve, residuo intervallo di tempo che ancora gli è concesso; ed è una sfida a godere quanto più possibile, a procurarsi tutte le gioie che la prigionia gli ha negato: l’amore di una donna, l’affetto di una madre, la pace della campagna, la bellezza della natura. Poco importa se la donna è una prostituta, la madre è ormai priva di forze, la campagna è avvolta nelle nebbie dell’autunno (sonbahar), e la natura si sta addormentando sotto le prime nevicate. C’è ancora uno scampolo di luce e di aria da poter assaporare, e quello che per gli altri è solo un disprezzabile accomodamento, per Yusuf ha l’inestimabile valore delle cose ultime, delle conquiste estreme, dei sogni realizzati contro ogni ragionevolezza. L’uomo si sente comunque vittorioso di fronte ad un destino che lo sta travolgendo, perché forte del romantico orgoglio di non essersi mai arreso. Yusuf sta fermo in piedi sul molo, mentre le onde di un mare in tempesta lo sovrastano minacciose: non si scosta, e si lascia invece trascinare da quel sinistro incanto, fiero di guardare in faccia quel nemico tanto più potente di lui. La pittura di Caspar David Friedrich, con i suoi scenari fatti di grandi spazi ed imponenti elementi naturali, in mezzo a cui si aggirano, smarrite, piccole figure umane, ritorna in questo film, come già nel capolavoro di Sokurov; ritorna a portare quella spettacolarità crepuscolare in cui la meraviglia è adombrata dalla paura; e ad ispirare un compassionevole, eppure nobilissimo, ritratto della nostra condizione di esseri condannati a soffrire, e a chiedersi incessantemente perché.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta