Regia di Andrea Segre vedi scheda film
Nel titolo, la doppia semantica di una affermazione di identità e di una collocazione geografica che mantengono nella genericità del nome e dell'avverbio tanto l'adesione ad un riconoscibile stereotipo etnico quanto lo sradicamento di una condizione esistenziale che si fa paradigma universale della migrazione forzata ai tempi della globalizzazione.
Una giovane immigrata cinese, costretta a lavorare in un'osteria di Chioggia per riscattare il ricongiungimento con il figlio rimasto in patria, intrattiene una relazione platonica e affettiva con un anziano pescatore croato da tempo in Italia. La delicata poesia del loro legame umano viene bruscamente interrotta dal rigido codice etico del caporalato cinese, preoccupato solo di mantenere il basso profilo e l'alto rendimento dei propri lavoratori-schiavi.
...ma il tuo poeta muore e l' alba
non vedrà...
Nel bellissimo titolo di questo esordio nel cinema di finzione del documentarista Segre, la doppia semantica di una affermazione di identità e di una collocazione geografica che mantengono nella genericità del nome e dell'avverbio tanto l'adesione ad un riconoscibile stereotipo etnico quanto lo sradicamento di una condizione esistenziale che si fa paradigma universale della migrazione forzata ai tempi della globalizzazione.
Se nel ricercato parallelo tra la solitudine condivisa tra una madre in attesa di ricongiungersi col figlio lasciato all'anziano padre ed un padre ormai anziano che ricerca la propria indipendenza lontano dalla famiglia di un figlio per il quale si sente un ingombro, rappresentano il facile approccio di una drammaturgia esemplare, le tematiche care ad un autore da sempre attento alle molteplici declinazioni sociali dei fenomeni migratori trovano la felice sintesi di un realismo poetico che, senza sottrarsi allo squallore della realtà, ricerca nella spiritualità di culture diverse (il rito del poeta cinese e la poesia dell'esule croato) una corrispondenza d'amorosi sensi che si fa riscatto dalle miserie umane ed affermazione di valori universali; il filo conduttore di una antropologia dei sentimenti che le confidenze intime di una tradizione orale e le foto di famiglia di un'infanzia sul mare servono da sole a documentare. Come nella traccia in over voice della suggestiva poesia finale, in cui l'allegoria di geometrie non euclidee esemplifica le insondabili strade di un destino di errori e sofferenze, vita e morte, purificazione e rinascita, così gli eventi accidentali di storie distanti conducono i due protagonisti al crocevia geografico dell'antica via della seta, il fondale scenografico di calli sospese tra storia e letteratura, tra i ricorsi di di un sincretismo culturale che ritorna al punto di partenza e le baruffe chiozzotte di una cultura provinciale di maldicenze e ottusità, tra il ritorno alle origini di genti lontane cresciute sul mare e la dolorosa separazione tra una figlia ed un padre putativo che le spietate regole delle vessazioni sociali riescono per sempre ad allontanare. Un esempio di cinema già maturo, dove alla puntuale ricognizione dei luoghi nostrani di una globalizzazione economica fondata sullo sfruttamento e l'autarchia, si alterna una dimensione religiosa preziosa e incorruttible, disseminata dei simboli di una spiritualità profonda che rivive ogni volta negli ex voto di rosse lanterne fluttuanti sull'acqua e che ritorna alla terra e al mare nell'orrida pira dell'ultima, grande lanterna che la sua più fedele seguace accende in onore dell'unico vero poeta che ha avuto in sorte di conoscere. Contributi tecnici di prim'ordine ed un casting mai così indovinato che arruola, oltre ad uno stuolo di azzeccati vitelloni del Nord Est (Battiston, Citran, Paolini), la docissima e bellissima Zhao Tao ed il fascinoso apolide giramondo Rade Serbedzija. Palmares giustamente pletorico tra cui 3 premi (Premio Fedic, Premio Lanterna Magica e Premio Lina Mangiacapre) al Festival di Venezia 2011 ad Andrea Segre e David di Donatello 2012 per la migliore protagonista femminile.
E Marco Polo li fregò:
doge, moglie, turchi, idee,
partì da Chioggia ed arrivò
non più giù di Bari,
non più giù di Bari,
poi disse "ho visto orienti magici",
ma almeno aveva avuto della fantasia;
i veneziani che applaudivano
solo invidia e ipocrisia.
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