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io sono Li

Regia di Andrea Segre vedi scheda film

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La recensione su io sono Li

di M Valdemar
8 stelle

Come la protagonista è in attesa della fantomatica, liberatoria “notizia” (quella cioè che annuncerà l’estinzione del debito contratto per poter così finalmente riabbracciare il figlio), anche l’italico spettatore, avendo annusato quest’anno un’imprescindibile aria a tema immigrazione che ha portato diversi lavori più o meno deludenti o pretenziosi (Cose dell'altro mondo; Terraferma; Il villaggio di cartone), aspettava, caparbio, la “notizia”: ebbene, è giunta. Abbiamo un film. Finalmente riuscito, compiuto e certamente grezzo, acerbo, migliorabile e imperfetto quanto si vuole, ma, ostrega, è una piccola gemma (quanto mai) preziosa, che non predica, non moraleggia, non satireggia banalmente, non ricatta, non strafa né intende sembrare ciò che non è.
Cullato da ritmi docili in cui si celano moti impetuosi che talvolta si lib(e)rano nella dimensione lagunare, Io sono Li racconta una storia semplice e coinvolgente, di un incrocio di anime estranee e sole, sospese in una desolata distesa ammantata di malinconia e singhiozzante appartenenza, il cui quieto rullio esistenziale s’infrange contro il crudo, ineluttabile affogamento di desideri e bisogni di intime soddisfazioni e sentimenti.
Shun Li e Bepi, la barista e il pescatore, due vite così distanti che fluttuano placide e ondivaghe nella confusa, acquitrinosa realtà che li accomuna, che li rende così vicini. Volti piovosi immersi nelle profondità d’una paludosa disperazione, i loro occhi sono vibranti corsi d’acqua che, originatisi da sorgenti opposte, lottano per incontrarsi, per rispondersi in un’(impossibile) unione affettiva, fatta di mutua comprensione e condivisione, che prima galleggia teneramente e poi annega inesorabilmente negli implacabili gorghi di melmosi pregiudizi e vigliacche costrizioni.
Shun Li e Bepi: lei che scrive appassionate lettere al figlio, lui che improvvisa rime; la parola ora declamata ora impressa su speranzosa carta, che evoca, che (fa) riflette(re), che langue limpida nel riflusso di sensi e sensazioni, ch’evaporano, intorbidate e intorpidite, dall’illusoria e fugace ebbrezza che fu. Acquiescenti.
Due animi turbati, due sentieri biforcati che cavalcano la stessa, ondeggiante realtà; due prospettive difformi ed eguali, all’interno di un unico piano che è quello concettuale di tutta la pellicola, bivalente sin dal titolo: quell' Io sono Li che, letto o ascoltato, esprime ampiamente gli intenti logici che proseguono in una efficace dualità. Il mare e la laguna (che - come scrive Shun Li al figlio - è femmina), che non restituisce tutta l’acqua ricevuta; gli stessi protagonisti, uno lo straniero integrato (“veneto” da trent’anni) e l’altro lo straniero invasore; le lingue: quella ostica, incomprensibile cinese e quella dialettale, divertente veneta, entrambe sottotitolate; la poesia: del Poeta nazionale cinese, Qu Yuan (cui viene dedicato l’affascinante rituale delle candele accese che danzano sulle onde), e del poeta per diletto Bepi, i cui ultimi versi sono destinati a Shun Li.
Ma di un sincero respiro poetico è pervaso tutto il film, che fa propria, con spontanea delicatezza e sensibilità, una scelta stilistica (sia nei contenuti che nella forma) e una messa in scena tipiche di certa (giustamente) acclamata cinematografia orientale. Il regista Andrea Segre alterna con misura e rigore ammirevoli scene commoventi (che non sono mai stucchevoli né furbesche) con episodi brillanti e spiritosi (intelligenti e ispirati, anche quando si ricorre ad un umorismo più rozzo), dimostrando di saper dosare con fluidità i diversi registri.
Fondamentale alla piena riuscita del film è la suggestiva e carezzevole fotografia dell’ottimo Luca Bigazzi, che aderisce armoniosamente alle coordinate liriche prescritte, conferendo ritratti di spettacolare (ancorché spesso accorata e struggente) bellezza, che trova forse il suo culmine con quella straordinaria e soave illustrazione della laguna su cui si stagliano imperiose sullo sfondo le Dolomiti. Acqua e montagna, ancora due elementi …
Infine, il rischio maggiore probabilmente era quello della recitazione, scongiurato appieno, fortunatamente. I protagonisti sono perfettamente in parte ed eccezionali, in particolare Zhao Tao, che offre una magnifica ed equilibrata interpretazione. Bravissimo anche il trio di supporto (che bene rappresenta certa “fauna” che popola bar e osterie): Marco Paolini (il migliore), Roberto Citran e Giuseppe Battiston (in versione tatuata), che quasi sempre si esprimono in dialetto.
Gran bel film davvero, passato troppo sotto silenzio, vale assolutamente la pena recuperarlo.

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