Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
La nave dolce è carica di zucchero, colma di speranze, stipata di persone. La nave dolce ha un nome: Vlora. E attraversa il Mediterraneo, nell’agosto del 1991, trasportando verso Bari, Lamerica, 20 mila cittadini albanesi in cerca di futuro. Sostiene Vicari, dopo aver narrato la sospensione della democrazia in Diaz: «è un momento di cambiamento per l’Italia: è con la Vlora che l’immigrazione si trasforma in un problema di ordine pubblico. Raccontato falsamente. Cossiga si presenta come Capo Militare, concentra quegli esseri umani in uno stadio, sotto il sole, li respinge. L’Istituzione agisce su un’attitudine del popolo italiano, la capacità di accogliere, e la muta». Corpi esposti, gole arse, pelle bruciata, sete e sudore: mentre la Tv trasforma la Guerra del Golfo in un’astrazione dove la sofferenza è rimossa, le immagini dei reporter Rai, all’opposto, imprimono su pellicola la pena di una massa migrante. Immagini di dolore. Vicari lavora su questo materiale d’archivio dimenticato. Ricerca, soprattutto. Perché sa che ritrovare nell’indistinto le narrazioni dei singoli è un atto di umanità. Per questo, nelle interviste, ripercorre le storie con la s minuscola: per restituire dignità, per sottrarsi a una narrazione generalista. Per questo racconta con un vigore epico che non stenta ad affidarsi a forme sanamente emotive: perché ibrida il documentario con un’idea di spettacolo forte e popolare, un’estetica che da Éjzenštejn porta agli spot.
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