Regia di Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio vedi scheda film
Tra le sette opere di misericordia del Vangelo secondo Matteo (dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti) ne andrebbe aggiunta un'ottava: avere pietà per l'apparato riproduttivo degli spettatori, che altrimenti va in frantumi. Provate infatti a concentrarvi soltanto sui suoni del film dei fratelli De Serio: per un'ora e mezza non sentirete che rantoli, strepiti, singulti, rumori metropolitani, il bordone costante del traffico e qualche parola biascicata. Un'uggia senza fine dove l'azione è assente e il racconto si sviluppa quasi in tempo reale. È l'imperativo categorico del cinema che vuole "sembrare" d'essai senza riuscire a esserlo. Già, perché fin troppo spesso in Italia il cinema d'autore da una ventina d'anni funziona così: deve essere letargico.
In questa occasione, l'oppressione testicolare si traduce nel confronto tra una giovanissima clandestina dell'Est (Melinte), costretta dai suoi aguzzini a vivere di espedienti, e un anziano dall'aspetto insalubre e con un piede nell'Aldilà (Herlitzka). I due, dopo dissapori e tensioni drammatiche, troveranno un'intesa.
Cupo, lentissimo, algido, Sette opere di misericordia è la quintessenza dello snobismo intellettualoide che può essere sostenuto soltanto a colpi di intricatissimi e vuoti panegirici.
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