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Sette opere di misericordia

Regia di Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio vedi scheda film

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La recensione su Sette opere di misericordia

di FilmTv Rivista
6 stelle

Schermo nero. Rumori, presenze. E poi Luminita, giovane moldava, marginale persino in una baraccopoli, clandestina in cerca del minimo riconoscimento sociale, di un documento falso che documenti una (comunque) falsa integrazione. O quantomeno certifichi la sua esistenza. E poi Antonio, anziano prossimo alla morte, dedito ad affari la cui mancanza di limpidezza ha probabilmente bruciato e bucato la gola, uomo solo, bisognoso di cure mediche. Lottano, entrambi, per la sopravvivenza. E si scontrano: lei rapisce un neonato per rivenderlo in cambio di un’identità, aggredisce l’uomo, gli si installa in casa, lo sequestra nella sua stessa dimora. Poi, muti per divergenza linguistica e handicap fisico, si incontrano. Si guardano. Si comprendono. I gemelli De Serio, classe 1978, non sono una scommessa: le loro opere, tra installazioni, corti e documentari (l’ultimo, in ordine di tempo, è il bellissimo Bakroman), hanno girato il mondo, sono state premiate ovunque. E hanno creato una poetica riconoscibile, una visione del mondo e del cinema: un’arte che cammina verso i margini, che si muove lungo i bordi, che guarda e insegna a guardare al di là di ogni pregiudizio, di ogni significato automatico, cristallizzato, stantio. Per questo scelgono, per il loro esordio nel lungometraggio di finzione, di riempire il Cinemascope, il formato dello Spettacolo, dello spettacolo misero e umano della realtà. Per questo non ricorrono a facili drammatizzazioni, per questo creano vuoti ellittici in una narrazione potenzialmente piena di thrilling. Per questo non invitano all’immedesimazione classica, non addomesticano i personaggi per renderli gradevoli allo spettatore, per questo se ne fottono del manicheismo: non ci sono buoni e cattivi, qui. Ci sono uomini, prima che funzioni narrative. Per questo i cartelli che, tra Kieslowski e Godard, citano le sette opere di misericordia e punteggiano la storia si svestono dell’iniziale ironia, fino ad astrarsi dagli eventi mostrati. Perché questo è cinema, rarissimo oggi in Italia, che mostra la realtà e chiede di andare oltre, dallo stato delle cose allo spirito. Per questo parte dal vero e lo scolpisce nel tempo, con i suoi suoni, la sua luce: per dare forma a un concetto, a un sentimento di comprensione. E se il rigore si compiace, se l’idea di cinema si dice troppo esplicitamente, è per marcare la propria - già evidente - differenza: un neo giustificabile, in un’opera prima.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 3 del 2012

Autore: Giulio Sangiorgio

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