Regia di Pippo Mezzapesa vedi scheda film
Una ragazza incantevole, con addosso l'abito nuziale e margherite tra i capelli, si getta dalla cima di una chiesa ed atterra sul materasso gonfiabile disposto dai vigili del fuoco: "Il grande volo", titola l'indomani il Corriere Jonico, mostrando a tutta pagina il suo primo piano angelico. Ma chi è costei? Può una donna così bella desiderare di morire? E perché? Attratti dal suo splendore ed incuriositi dal suo segreto, i quindicenni Zazà, Veleno, Capodiferro, Cimasa e Natuccio la eleggono a loro nuova musa, sovrapponendo la foto del suo volto all'immagine della Madonna che nello spogliatoio ogni giorno sono abituati a baciare prima di scendere in campo per l'allenamento.
Sono gli anni '90 nel tarantino, e mentre alla radio la trance di Robert Miles si alterna alle melodie semplici di Nino Bonocore, in tv furoreggia Non è la Rai, e i telegiornali accompagnano l'ascesa di una nuova generazione di politici sempre più scafatamente viscidi e populisti.
Veleno si è trasferito da poco, è di estrazione borghese e ha voglia di sporcarsi quelle ginocchia ancora linde e prive di graffi o cicatrici, ma il padre avvocato non vede di buon occhio quelle nuove amicizie nate attorno ad un pallone, soprattutto quella con Zazà, il fuoriclasse del posto, che vive col fratello Graziano, tossicomane e piccolo delinquente, e che proprio grazie al calcio e all'allenatore e mentore Cenzoum, che vuole dargli l'opportunità di mostrarsi ad una grande squadra, potrà forse un giorno affrancarsi da un destino che sembra segnato. L'apparizione di Annalisa, l'infelice e inconsolabile sposa volante, porterà i due a cercare per la prima volta un approccio con l'altro sesso che vada al di là delle fantasie infantili e dei film porno, indirizzerà la loro istintiva propensione al bello verso un modello terreno e tangibile seppur probabilmente irragiungibile, li condurrà ad esser sedotti dal dolore altrui e a rapportarsi col proprio con l'intento di superarlo, e a vivere i tormenti della vita in maniera via via più consapevole e compiuta.
Giunto al primo lungometraggio di finzione dopo una gavetta passata tra corti (uno dei quali, Come a Cassano, del 2006, già trattava con gusto personale di un ragazzino e della sua passione per lo sport nazionale italiano) e documentari (imperdibile la docu-fiction targata 2008 Pinuccio Lovero - sogno di una morte di mezza estate), Pippo Mezzapesa si affida alla produzione di Massimo Procacci e alla collaborazione di Antonella Gaeta ed Antonio Leotti alla sceneggiatura per mettere in immagini un romanzo dell'amico e conterraneo Mario Desiati.
Il paese delle spose infelici è serenamente ascrivibile all'affollata categoria dei racconti di formazione, senza per questo apparire banale o superfluo: ambientato a Massafra, località rurale nei pressi di Taranto contaminata dal fumo e dal puzzo delle ciminiere, il film di Mezzapesa è interamente giocato sui contrasti: quello tra il fascino della natura irregolare e selvaggia e lo squallore degli incombenti mostri imposti dall'industria siderurgica; quello tra le personalità agli antipodi dei due protagonisti, uniti dal calcio e potenzialmente divisi dall'ingresso in scena di una ragazza più grande alla quale entrambi rivolgono pensieri proibiti; quello tra la disarmante bellezza acqua e sapone dell'attrice parigina Aylin Prandi e la cupio dissolvi della sua tormentata Annalisa, devastata da una grave perdita che le ha tolto l'autostima e la voglia di lottare; quello tra i saliscendi della colonna sonora, che spazia dalle musiche originali e irrequiete composte ad hoc da Pasquale Catalano alle sonate di Arcangelo Corelli, dalla classica contemporanea del Balanescu Quartet all'indie rock di Clap Your Hands Say Yeah, Calexico e Girls in Hawaii; il regista pugliese si tiene comodamente a distanza da stereotipi positivi e negativi (il sud balneare da cartolina da un lato e la denuncia sociale a cottimo dall'altro), puntando su personaggi più veri del vero (bravissimi i cinque ragazzini esordienti, con menzione speciale per Nicola Orzella e Luca Schipani nei ruoli di Veleno e Zazà) e su una fotografia densa (di Michele D'Attanasio) che si produce in un realismo spurio fatto di tonalità intense e saltuarie concessioni a sospensioni liriche ed oniriche (da sottolineare, in tal senso, il volo di Annalisa ed il gol di Zazà).
Presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2011, Il paese delle spose infelici merita molta più fortuna di quanta gliene abbia concesso una distribuzione tutt'altro che attenta, e restituisce alla settima arte un regista da seguire, poco più che trentenne ma già maturo, dotato di leggerezza di tocco, sguardo obliquo, senso del ritmo e capacità affabulatorie non comuni.
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