Ispirato ad una lunga vicenda realmente accaduta, è un film d’avventura drammatico, realizzato a parer mio in maniera corretta e cinematograficamente efficace. Vi si raccontano le peripezie vissute per oltre un anno da una ventina di ostaggi sequestrati nelle Filippine nel maggio del 2001 da un commando di Al-qaeda. E’ forse cinico dirlo, ma i presupposti per un film appassionante ci sono tutti e l’aspettativa dello spettatore viene puntualmente soddisfatta. Si parte da una lunga traversata a bordo di una precaria imbarcazione, rude scenario nel quale si scoprono i personaggi che animeranno il disperato viaggio. In primo luogo i sequestratori: giovani, violenti, ma tremendamente convinti della loro giusta causa e pervasi da un folle fanatismo religioso. Poi, gli ostaggi, persone d’ogni razza e di ogni età, scelti nel mucchio e trattati come preziosa merce di scambio. Tra questi, una donna francese impegnata negli interventi umanitari e interpretata da Isabelle Huppert. E’ solo una figura tra le altre e funge da soggetto narrante dell’odissea raccontata. Sbarcati in un’isola dell’arcipelago, i sequestrati vengono scaraventati in un ospedale dove riceveranno cure e cibo. La scena è lunga, tesissima, e contribuisce a comprendere in maniera più approfondita le psicologie dei sequestrati e dei loro sequestratori. Da qui si riparte e inizia uno sfiancante viaggio nel cuore della giungla, con il costante timore di essere assaliti da forze statiunitensi o dalle autorità locali. “Captive” diventa un film “on the road” a piedi, sempre a piedi, con insetti di ogni tipo, piogge torrenziali, la morte dei soggetti più deboli, un parto, sparatorie e altri disastri. I mesi passano. L’11 settembre c’è l’attacco aereo alle Torri Gemelle. I sequestratori inneggiano, i prigionieri non credono alle loro orecchie. Nell’economia del film, lo storico evento non ha in realtà alcun peso. Il viaggio prosegue. Man mano che arrivano i soldi per i vari riscatti, alcuni prigionieri vengono liberati. Il film termina con un fermo immagine sul volto straziato di Isabelle Huppert sottratta ai rapitori nel corso di un conflitto a fuoco.Per me, uno dei pregi di questo avvincente racconto è quello di illustrare una storia imbevuta di politica senza prendere posizione, senza demonizzare gli islamisti e senza soffermarsi pateticamente sulle loro vittime. Al centro vi sono le vicende umane di persone capitate lì per caso, un viaggio senza meta che segnerà profondamente e traumaticamente ogni personaggio. L’immersione nel profondo della giungla è totale anche per lo spettatore. Un ambiente inquietante e inospitale per gli uomini di oggi, uomini che tuttavia, come i topi, sanno adattarsi alle condizioni più estreme. Una performance alla quale non si sottrae ovviamente Isabelle Huppert, per la quale recitare significa spesso raccogliere delle sfide. Ormai, l’attrice non è più una ragazzina e l’esperienza deve essere stata assai pesante. Come sempre, ne esce a testa alta, si muove con coraggio e passione, rifugge dai ruoli gratificanti e non si atteggia da diva, nonostante lo sia. Un ennesimo ruolo difficile e straordinario nella sua carriera.
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