Regia di Brillante Mendoza vedi scheda film
Maggio 2001, Mindanao, Filippine: il gruppo islamista Abu Sayyaf rapisce un gruppo di turisti. Lo scopo: finanziare le proprie attività, sotto l’egida di Bin Laden, con i riscatti. Mendoza, da una storia vera lunga 377 giorni, trasforma la giungla in un set dove gli attori ripresentano le dinamiche degli eventi. E le sperimentano, sul proprio corpo, per la prima volta: alla base c’è una ricostruzione meticolosa di misfatti, la riproduzione in scala delle intricate trame di relazioni tra sequestratori e sequestrati, ci sono testimonianze fatte materia narrativa, rianimate, sofferte, esaltate in questo teatro fisico, brutale, terragno, che procede per ellissi e strappi e che la mdp esplora con enfasi cinetica, ma in umor di anaffettività. Perché ci sono i fatti, prima che i giudizi, l’evidenza fredda, prima che la compassione: Mendoza non semplifica in codice binario le emozioni, ma non cerca nemmeno complessità dove non ce n’è. Conosce ciò che separa il Bene dal Male (un terrorista non è un volontario di pace), ma non crede che le conseguenze del loro incontro siano ovvie. Ne escono sentimenti meticci, come le immagini: tra rigore ed exploitation, forma documentaristica e action, ingenuità e sofisticazione espressiva (i non professionisti e la dea profanata Huppert), i suoi frame sono global, pop, alti e bassi, persino pornografici. Sono offerti allo spettatore, nella loro problematicità, per essere giudicati: esigono una nuova etica dell’immagine. Vi pare poco?
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta