Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Uno dei modi più oppressivi e violenti in cui il male contemporaneo si manifesta in noi: l'erotomania. Così il protagonista (un grandioso Fassbender) risulta ossessionato dal sesso, e dalla contemplazione dello stesso. Non c'è morbosità, nello sguardo di Steve McQueen, ma sincera partecipazione, benché si esprima con uno stile metallico e assai rigido, che conferisce al film anche quel senso di asetticità e al contempo di desolazione che ricorda un po' gli sfondi metropolitani di "Crash" di Cronenberg. E' tutto d'acciaio, come il palazzo in cui, affacciato sul mondo, Brandon fa sesso con una prostituta.
Non è privo di facili trovate, "Shame", a partire dal tentativo fallito del protagonista di associare il sesso agli affetti: è così che non riesce a concludere con una collega affascinante, con cui riesce anche a condurre un intero appuntamento. E rassegnato, tornerà al suo vizio, una vera e propria droga, presa come tale anche dalla sorella, una tenera e desolata Carey Mulligan. Ed è anche, forse, nel finale, che il film di McQueen perde punti, per come denuda l'uomo contemporaneo (rappresentato da Brandon) delle sue colpe, dando la colpa essenzialmente a qualcosa di esterno. L'uomo è una povera vittima, ma sappiamo anche che c'è qualcosa dentro di lui: questo McQueen non lo dice, ma con tutto il pessimismo violento del film, e vista la mancanza di un lieto fine, simile respiro di ottimismo, una sorta di scusa per ciò che è stato visto, dimostra da parte del regista molto pudore, nonostante tutto, molto affetto per il suo personaggio, nonostante tutto, e un forte tentativo di alleggerire un film di per sé crudo e tematicamente pesante.
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