Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film
Brandon è un trentenne in carriera, possiede un bell'appartamento a New York ed esercita un evidente fascino sulle donne, ma ha un'ossessione della quale si vergogna e che non riesce ad arginare: quella per il sesso.
La sua giornata tipo prevede poche pause e, non appena possibile, ancora meno vestiti addosso: scopatore indefesso e onanista incallito, in casa ha scaffali pieni di riviste pornografiche, e un telefono che squilla invano lasciando alla segreteria l'onere di registrare il messaggio quotidiano di una vecchia amante che mendica inutilmente nuove attenzioni; ha un portatile con cui naviga abitualmente tra siti hard e videochat erotiche, e l'attitudine ad ospitare prostitute o, alternativamente, a cercar soddisfazione tra le gambe di sconosciute consenzienti adescate dove capita.
Brandon vive solo, perché non crede nel matrimonio né in alcun tipo di relazione duratura, perché i legami sono fatti per essere sciolti e l'attrazione per divenire abitudine e quindi noia, perché non esiste amore né condivisione, ma solo il bisogno di appagamento fisico ricercato attraverso una serie meccanica di gesti compulsivi.
Conscio della propria dipendenza e terrorizzato dagli abissi di angoscia che questa gli comporta, Brandon mostra in pubblico un'immagine di sé sobria e risoluta, tenendosi dentro un inferno che non trova pace, e che viene anzi amplificato quando nella sua vita piomba la sorella minore Sissy, una cantante di night club nata in Irlanda e trapiantata da piccola nel New Jersey come lui, che ora dalla lontana Los Angeles dove ha vissuto negli ultimi tempi giunge nella Grande Mela per delle serate scegliendo la sua abitazione come dimora temporanea: altrettanto problematica e depressa, Sissy è agli antipodi dal punto di vista caratteriale, tormentata e autolesionista, volubile insicura e costantemente bisognosa di affetto e calore umano, e quello che prova a riallacciare con lui è un rapporto conflittuale e complesso, che ha le stesse radici lontane dei guasti che devastano la psiche di entrambi. Il suo arrivo stravolge l'instabile equilibrio che il fratello aveva faticosamente trovato tra le proprie pulsioni, costringendolo a modificare le proprie abitudini e a fare i conti con le proprie manie e deviazioni.
Secondo lungometraggio dell'inglese Steve McQueen, presentato a Venezia 2011 e premiato con la Coppa Volpi al suo interprete principale Michael Fassbinder (già col regista nel precedente Hunger, Camera d'Or a Cannes 2008 ma inedito in Italia), Shame è un film ostico disturbante e manifestamente sgradevole che non si produce in un aperto e 'convenzionale' scavo psicologico basato su dialoghi serrati, né si preoccupa di elargire informazioni al di là dello stretto necessario sul vissuto del protagonista, ma lascia spazio ad immagini suoni e rumori d'ambiente come fossero proiezioni della sua mente, lo mette a nudo in senso non solo figurato, mostra con algido distacco l'asfissia emotiva che lo governa, lo pedina nella rituale e vorticosa rincorsa all'ennesimo atto al contempo liberatorio e autopunitivo: incapace di liberarsi da una routine che si fa ogni giorno più soffocante, ingabbiato dall'insopprimibile tensione verso un sesso impersonale, privo di erotismo e di qualsivoglia coinvolgimento, Brandon cerca una via di fuga ma sente il panico montare ad ogni amplesso per esplodere con violenza maggiore ad ogni orgasmo - aspirazione unica e condanna ineludibile di un uomo assuefatto al vuoto pneumatico del nulla sociale e dallo stesso annientato, gode e soffre in un abisso di nichilismo puro dove lo zenit e il nadir di un circuito emozionale fallato coincidono drammaticamente.
Girato da McQueen coniugando eleganza e brutalità, contrappuntato dal magnetico commento musicale in crescendo di Harry Escott e da una vibrante colonna sonora che spazia da Howlin' Wolf a John Coltrane a Chet Baker fino agli Chic e a Blondie ma dove la parte del leone spetta a Johann Sebastian Bach, dominato da un Fassbinder imponente e carismatico e nobilitato dalla prova coraggiosa e intensa di una Carey Mulligan (che si lancia in una versione personale e sofferta di New York, New York) sempre più lanciata nell'olimpo dei grandi, Shame è il grido sordo e disperato di un uomo prigioniero di sé stesso e della propria rampante inadeguatezza, un film splendidamente circolare da inseguire (prima) e subire (poi).
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