Regia di Andrea Arnold vedi scheda film
“...è uno strano libro. Ci sono segni di un grande potere di scrittura, ma nell'insieme è violento, confuso, incoerente e improbabile” commentava l’Examiner nel gennaio 1848 all’uscita del romanzo." Voleva essere una stroncatura, Arnold ne ha fatto un film straordinario.
Graffiti infantili sulla parete della stanza: una grande casa, un viottolo, un cancello, un cavallo.
Più su un uccellino e due nomi, Catherine/Heathcliff.
Heathclliff si scaglia a corpo morto contro la parete, cade a terra, la fronte è ferita, si rialza, colpisce di nuovo il muro, cade, si raggomitola, piange.
Rami secchi battono contro i minuscoli rettangoli di vetro della finestra, la fotocamera guarda oltre, la brughiera sconfinata, grigia, striata di verde, brulicante di vita vegetale e animale.
La storia è finita, ma il film comincia e il pre-finale, posto in apertura, ne svela la veste ritmica, anticipa lo sviluppo della costruzione stilistica, dal più piccolo inciso sintattico alla più ampia sezione formale: silenzi, esplosioni di violenza impotente, pause, un dolore senza redenzione, un paesaggio brullo che è teatro e protagonista insieme.
Lo spettatore non assiste, è coinvolto ad esserci, in una corrente carsica di domande inevase (da dove viene Heathcliff? dove sparisce? da dove ritorna dopo anni?) di letture ogni volta contraddette (chi è Heathcliff che bestemmia, aggredisce carico di odio chi lo umilia, appende ad un gancio un cagnolino, si ribella ai lavaggi “mi piace essere sporco”, sposa Isabelle per vendicarsi? E’ lo stesso Heathcliff che sorride a Cathy, che imbratta di fango il suo viso felice, che guarda i due falchi volare alti sulla brughiera, uno stormo allargarsi nel cielo, i due cani giocare correndo, cuccioli, come lui e Cathy?)
Arnold catapulta il romanzo della Brontë in un formato, quattro terzi (4:3), che chiude in un perimetro asfittico la scena, si percepisce lo spazio come trappola.Sceglie attori sconosciuti per i ruoli chiave e toglie loro le parole di bocca, solo frasi brevissime, il linguaggio verbale non ha luogo nella solitudine della brughiera, il vissuto dei personaggi, le storie e le motivazioni, le ragioni e i torti, nulla è affidato alla parola che rivela, classifica, definisce e limita.
“Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più bisogno di un corpo; parlando della brughiera far parlare il vento e ruggire il tuono” disse Virginia Woolf della Brontë .
Arnold rispetta il romanzo e ne estrae lo spirito profondo, taglia e tradisce, traducendolo fino alla contemporaneità, ne fa un’opera sobria, elementare nell'ossatura, carica di potenzialità elaborative ma straordinariamente compatta e chiusa in sè.
Avvertiamo la forza predominante del tema centrale, ricco di consequenzialità e unitarietà di concezione, per un attimo sembra possibile abbandonarsi alla traiettoria di un racconto lineare, ma ne siamo subito respinti, lo sviluppo è a spirale, si avvolge su se stesso in un Maelström senza fine.
Violenza delle emozioni e violenza fisica, su uomini e animali, senza distinzione, lo scatenarsi di passioni incontrollate, la selvaggia dimensione del vivere in un mondo fuori dalla storia, lontano dalla civiltà, eppure così imbevuto di tutti i retaggi della storia e della civiltà (razzismo, perbenismo borghese, puritanesimo vittoriano, gelosie e rivalità, nulla manca) tutto collabora ad una economia della narrazione di fascino ipnotico.
Un ragazzo nero avvolto in un mantello scuro e un uomo indistinto nella nebbia camminano verso casa.
Notte, rumore vicino di erba secca calpestata dagli stivali, basso continuo del vento che percuote alberi e distese di erica, pioggia fitta nel pantano, cani abbaiano, corvi stridono nella tenebra azzurra.
Heathclliff arriva a Wuthering Heights con Mr. Earnshaw, ha più o meno quindici anni:
“L’ho trovato per strada, non aveva nessuno, ho pensato…era una cosa da fare da buon cristiano”
Il cane gli mostra i denti, lui risponde con un ghigno, Cathy lo saluta sputandogli in faccia, Hindley, il fratello maggiore, lo guarda ostile.
Mr. Earnshaw è l’unico a sorridergli, ma morirà prematuramente e Heathcliff verrà declassato da Hindley al rango di servo e relegato in stalla.
Ma quando sono arrivato
non ero niente
e il tempo non ci darà nulla.
Allora perché hai scelto di appoggiarti
a un uomo che sapevi che stava cadendo?[1]
Heathcliff è un nero, ha segni di frusta sulla schiena, parla un inglese da bassifondi, fugge bestemmiando dal fonte battesimale dove il prete recita formule per scacciare il diavolo dal suo corpo.
Cathy lo insegue, corrono nella brughiera come animali braccati, montano insieme a cavallo e il viso di lui si perde fra i lunghi capelli di lei, la sua mano accarezza il fianco dell’animale con lentezza sensuale.
Senza parole ha inizio la comunicazione fisica, si abbarbica come radici ai loro corpi, li invade con una esclusività totale:
Lui non saprà mai quanto lo amo; e non perché sia bello, Nelly, ma perché è me stessa; è me stessa più di quanto io lo sia. Non so di cosa siano fatte le nostre anime, ma la mia e la sua sono identiche.
Arnold riscrive il testo ma sa farci sentire le parole della Brontë:
Il mio amore per Linton è come il fogliame nei boschi: il tempo lo cambierà, ne sono consapevole, come l'inverno cambia gli alberi. Il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce eterne che stanno sotto quegli alberi: una fonte di piacere ben poco visibile, ma necessaria.
Heathcliff e Cathy corrono per pianure e dirupi, si rotolano nel fango, si leccano le ferite, guardano insieme la raccolta di penne degli uccelli della brughiera, la mdp li tallona, la fotocamera di Robbie Ryan s’incolla alle facce, scruta le nuche, scava negli occhi.
Della lunga storia della terra della tempesta e dei tanti personaggi che l’hanno popolata nel romanzo resta solo questo amore che nasce come un gioco infantile, cresce con la spontaneità dei fenomeni naturali, sviluppa la simbiosi degli organismi viventi che si autosostengono, si dilata fino a straripare oltre ogni convenzione umana e approda alla morte trascinando il destino di tutti.
Wuthering Heights è la dimora dei figli della tempesta, livida, buia, percossa dal vento e dalla pioggia.
Thrushcross Grange è la dimora del mondo pacato e debole, invasa dalla luce e protetta dagli alberi.
Incontrarsi e distruggersi è inevitabile, Cathy cede al richiamo dell’etereo Linton, Heathcliff fugge disperato nella brughiera.
E’ un ragazzo, riemergerà uomo dalla nebbia, in uno stacco temporale fulmineo, il tempo è quell’ora che “…non è solo un'ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi “ diceva Proust e Arnold sa farne un uso mirabile, non costruisce metafore né sottotesti, c’è un presente che contiene passato e futuro, la storia di Heathcliff e Cathy è antica e contemporanea, carica di un un amore che è dolcezza e diventa furia autodistruttiva, delicato e complice abbandono e diventa ossessione.
C’è una natura che è spaventosa e selvaggia ma è anche guscio amorevole di scorribande spensierate, tempesta ma anche dorato pomeriggio di sole, c’è un mondo di uomini avidi, violenti, prigionieri della loro volontà di supremazia e un mondo di affetti semplici, di vite libere destinate alla sconfitta, come la pernice sgozzata che sgocciola sangue sul pavimento.
Immagini di Heathcliff e Cathy nel tempo non più felice ma innocente dell’adolescenza s’insinuano nel montaggio della seconda parte, quello che era e che non potè essere se non nella memoria, immutabile, eterno, fino all’ultima scena.
Oltre la morte c’è una distesa di erica su cui correre felici e inciampare, cadere e guardarsi con le facce sporche di fango e fili d’erba.
“...è uno strano libro. Ci sono segni di un grande potere di scrittura, ma nell'insieme è violento, confuso, incoerente e improbabile” commentava l’Examiner nel gennaio 1848 all’uscita del romanzo.
Voleva essere una stroncatura, Arnold ne ha fatto un film straordinario.
www.paoladigiuseppe.it
[1] dalla soundtrack del film Mumford & Sons, The Enemy
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