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The Grandmaster

Regia di Wong Kar-wai vedi scheda film

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La recensione su The Grandmaster

di FilmTv Rivista
8 stelle

Dopo anni di lavorazione, ritardi nella post-produzione e previsioni festivaliere smentite, a inizio 2013 Wong Kar-wai ha finalmente terminato The Grandmaster, il suo attesissimo film sulle arti marziali dedicato al maestro di kung fu Ip Man, scomparso a 75 anni nel 1972 e celebre anche in Occidente per aver avuto tra i suoi allievi Bruce Lee. E per chi non avesse amato la trasferta americana di Un bacio romantico, si tratta di un ritorno in grande stile: The Grandmaster è un film poderoso, straziante, magistralmente in bilico tra azione e melodramma, magniloquente nello stile ed ellittico nella narrazione. La vicenda abbraccia quattro decenni del Novecento, dall’invasione giapponese della Cina nel 1936 agli anni 60, e segue l’evoluzione artistica di Ip Man nella città natale di Foshan, nella Cina sudorientale, tra la sfida con il maestro Gong Yutian e l’amore impossibile per sua figlia Gong Er. Come sempre in Wong, la Storia condiziona i destini individuali, e anche quando i personaggi sono ispirati a persone reali il passaggio impietoso del tempo e degli uomini li trasforma in figure tragiche e universali. The Grandmaster è la storia di un mondo alla fine, è il racconto della sconfitta di un gruppo di virtuosi che oppone inutilmente al caos della realtà una pratica fondata sul controllo fisico e spirituale del corpo. Tutto è racchiuso nel precetto di base di Ip Man, l’idea per cui il kung fu è fatto di due sole parole: orizzontale e verticale, se vai giù perdi, se stai in piedi vinci. A partire da questa essenzialità di visione, Wong raggiunge la classicità del suo cinema, che in The Grandmaster è coreografato, cupo, squarciato dalla luce, sovraccarico di primissimi piani, step frame, movimenti di macchina, corpi danzanti, particolari, e al tempo stesso è intimo, minimale, capace di racchiudere l’intensità del mélo in una cornice sentimentale trattenuta. Con The Grandmaster Wong ha realizzato la sua idea di cinema bigger than life, la sua elegia per un modo di intendere l’arte, non solo marziale, che non esiste più (e nel finale il Tema di Deborah di C’era una volta in America è lì a dimostrarlo), mentre la Storia procede per la sua strada a una distanza irraggiungibile.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 38 del 2013

Autore: Roberto Manassero

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