Regia di Luc Besson vedi scheda film
Esce quasi dal museo di Adéle e l’enigma del Faraone la figura di Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana, Nobel per la Pace nel 1991. Come uno di quei dipinti inanimati del cinema di Luc Besson che riprendono improvvisamente vita. Ma al tempo stesso The Lady, che ha aperto il Festival del Film di Roma 2011, potrebbe anche rappresentare una svolta del cineasta, quasi più in linea con la sua attività di produttore per l’Europa Corp. Sulla strada del biopic tradizionale, nelle zone di Attenborough (più Grido di libertà che Gandhi), Besson filma la figura mimetica di Michelle Yeoh, che ha dovuto ricostruire la personalità dell’attivista studiando moltissime ore di filmati documentari su di lei, non avendo potuto incontrarla. In realtà, nel film, c’è ancora un’altra, ennesima declinazione dell’eroina femminile nella filmografia del regista. Suu diventa un altro oggetto del desiderio del suo cinema, come Anne Parillaud in Nikita, Natalie Portman in Léon e Milla Jovovich in Il quinto elemento. Ovviamente sono trattenuti gli eccessi e gli impeti visionari di Giovanna d’Arco, ma la luce di Arbogast tende spesso a separare la protagonista dal resto dello spazio e dell’azione (davanti alla folla o al plotone d’esecuzione), senza però mai divinizzarla. The Lady può rischiare a tratti di avere un cuore meccanico. È invece proprio il profondo rispetto per il personaggio che evita quei paurosi e attraenti slanci del suo cinema, con la Birmania che è un altro suo luogo sommerso, come nelle profondità di Le grand bleu dove i suoni (gli spari, le voci della folla) sono percepiti come alterati, sordi o troppo forti, che provocano comunque strappi laceranti. Il melodramma prevale e ha la meglio sulle forme del cinema politico. Se infatti la rappresentazione della giunta militare rischia l’effetto caricatura, la dimensione intima ha invece una fortissima intensità. The Lady è pieno di abbandoni improvvisi (la figura di Aung San Suu Kyi che diventa piccola agli occhi del marito e i figli costretti ad andarsene), di telefonate interrotte, di abbracci appassionati, con la prova monumentale di David Thewlis, in cui ogni incontro viene mostrato come se fosse l’ultimo.
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