Regia di Luc Besson vedi scheda film
Portare al cinema la figura di Aung San Suu Kyi non era una “missione” affatto facile in quanto la sua lunga lotta per i diritti del popolo birmano è stata per lo più scandita da attese e grande costanza nei limiti di quattro mura piuttosto che da azioni che per lo più le son state preventivamente precluse.
E Besson, nome insolito per un titolo di questo stampo, è fortunatamente più morigerato e controllato del solito, forse anche troppo, pur riuscendo ad incorniciare alcune sequenze di forte impatto.
Nel 1988 Aung San Suu Kyi (Michelle Yeoh) vive in Inghilterra dove si è sposata con Michael Aris (David Thewlis) ed avuto due figli ai quali è molto legata.
In occasione della malattia terminale della madre fa ritorno nella natale Birmania e trova una nazione priva di democrazia e sollecitata da persone del posto, essendo figlia di un eroico generale defunto, decide di intraprendere una battaglia per la conquista della libertà di opinione.
Vince le elezioni, ma il regime militare non rinuncia al potere e per lei inizia una lunga battaglia, isolata dal mondo, tenuta per lo più lontana dai parenti anche dinnanzi ai fatti più dolorosi, che si protrarrà nel corso degli anni.
Omaggio cinematografico doveroso nei confronti di una figura che ha messo il suo popolo davanti agli affetti (ed interessi) più cari intraprendendo una battaglia per lo più (obbligatoriamente) silenziosa e praticamente infinita.
Proprio sul versante affettivo il film di Luc Besson trova i flussi più significativi, con una mancanza inevitabile dovuta alla lontananza ed una malattia che viene utilizzata per cercare di incrinare la sua forza di volontà (non poter andare al capezzale del marito deve essere stata una prova di estrema durezza).
Anche il resto è cucito con cura e partecipazione, gli eccessi sono tenuti quasi sempre a bada, ma poi l’opera soffre, almeno parzialmente, di un’evoluzione dovutamente statica e a volte anche ripetitiva (i distacchi famigliari, i militari sotto casa, il generale che non lascia la presa del potere).
Certo non mancano i momenti di gran presa emotiva (come l’uccisione del padre di Suu, cinematograficamente molto buona, il discorso di fronte alla folla e la consegna del Nobel che forse poteva essere rafforzata), soprattutto Michelle Yeoh offre un’interpretazione mimetica impressionante, ma poi anche il finale, difficile da pensare efficace dato che la sua è una battaglia senza fine, non riesce ad ergersi per potenza visiva ed emotiva.
Rimane un film per lo più ben fatto, un po’ penalizzato da problemi intrinseci alla storia stessa che forse potevano essere maggiormente mitigati, ma è una vicenda che meritava questa occasione che in ogni caso non è andata sprecata.
Onesto.
Sorprende per come riesce ad essere misurato, dirigendo un film insolito visto all'interno della sua adrenalinica filmografia.
Discreto.
Gran prova mimetica, riesce a trasferire sullo schermo la forza interiore (e non solo) del suo personaggio altissimo per ideali, morale ed etica.
Notevole.
Interpretazione piuttosto riuscita e partecipativa, tra le sue migliori almeno degli ultimi 10/15 anni.
Discreto.
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