Regia di Luc Besson vedi scheda film
Luc Besson ogni tanto prova a fare l'adulto, il regista serio dopo anni dedicati alle favolette sugli ometti verdi e a scimmiottare un'Indiana Jones in gonnella (per non parlare dell'agghiacciante serie di film d'azione prodotti sotto la sua egida). Si perché uno dei crucci che piu' sta a cuore del celebre regista francese e' quello di diventare lo Spielberg europeo. Tentar non è peccato ma i risultati delle filmografie dei due registi non sono nemmeno lontanamente accostabili.
Il biopic sull'attivista birmana Aung San Suu Kyi ha il pregio di trovare in Michelle Yeoh un'interprete perfetta, che predispone bene lo spettatore nei riguardi di una pellicola che invece prende presto una strada convenzionale del melodramma con contaminazioni familiari che saranno pur vere e sacrosante (il dilemma della scelta se tornare dal marito morente e rinunciare per sempre alla causa di una vita vanificando sforzi e sacrifici e' senz'altro una verita' assodata), ma che, cosi' insistite ed edulcorate, rendono sfarzoso e magniloquente tutto il contesto; ne scaturisce un polpettone che cerca in tutti i modi di accattivarsi la sensibilita' primaria di un pubblico che invece di appassionarsi ad una vicenda che e' un inno alla liberta' e alla democrazia, si concentra piu' sull'intima sofferenza di una famiglia divisa da questioni piu' grandi di loro, separata dalla causa politica, dalla perversa malafede del potere assoluto, malattia che non perdona. Insomma tutto vero, tutti argomenti circostanziati, trattati con dignità e rispetto per il vero, ma miscelati convenzionalmente in un banale prodotto da Oscar (strano che gli ingenui americani lo abbiano snobbato completamente) di un autore sempre piu' compiaciuto di se stesso, tronfio, e gravemente in debito di umilta'.
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