Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film
“Come sapete, abbiamo cercato a lungo un nome accattivante e adatto per la squadra. Dopo varie riflessioni, alla fine ho scelto: Alpi.”
“Alpi?”
“Sì, Alpi.”
“Perché Alpi?”
“Alpi, fondamentalmente per due motivi. Il primo è che non rivela nulla di quello che facciamo, mentre il secondo è prettamente simbolico. Nessun'altra montagna può sostituire una montagna delle Alpi. Qualsiasi altra sarebbe più piccola e meno imponente, quindi un debole surrogato. La cosa sorprendente delle Alpi è che, mentre non possono essere sostituite da altre montagne, esse possono sostituire tutte le altre. A chi spiacerebbe vedere al posto del monte Ararat o del monte McKinley le Alpi?”
Un paramedico (Aris Servetalis), un'infermiera (Aggeliki Papoulia), una ginnasta artistica (Ariane Labed), il suo allenatore (Johnny Vekris): le Alpi.
Le Alpi sono una piccola associazione a fini di lucro, di cui è possibile disporre per un servizio assai particolare: rimpiazzare part-time le figure dei cari defunti dei clienti, i quali possono così rivivere per poche ore settimanali quei momenti - felici e meno felici - del passato che rendono meno amara l'elaborazione dell'evento luttuoso. Una società minuscola, pressoché clandestina, che si raduna nella palestra di allenamento della ginnasta e che richiede ai propri clienti poche basilari informazioni sul defunto: una fotografia, l'attore preferito, la professione, frasi ricorrenti, abitudini e altre piccolezze.
La riproduzione che i quattro sogliono mettere in scena è grottesca, impersonale, inattuabile, ma è pur sempre un lavoro serissimo, rigidamente orchestrato in tutti i dettagli dal paramedico. L'infermiera, per contro, pare soffrire una silente crisi d'identità e comincia ad immedesimarsi fin troppo in vite e mondi che non le appartengono…
Non è bastato il successo di “Kynodontas” a garantire al successivo lavoro del suo autore i fondi e la visibilità che avrebbe meritato; se alla prima mancanza Lanthimos può sempre ovviare col consueto stile, il rammarico riguarda la distribuzione limitata di “Alpeis”, tuttora inedito in Italia.
Se Lanthimos e il suo fidato co-sceneggiatore Efthymis Filippou avevano già creato qualcosa di sconvolgente, qui riescono – quantomeno per quanto riguarda l'idea di base – addirittura a superarsi, immaginando un contesto ancor più macabro e stratificato: mentre le aberrazioni di “Kynodontas” erano circoscritte essenzialmente ad una famiglia e al relativo microcosmo, le Alpi operano in modo pressoché limpido, sfruttando l'apatia e la vacuità in cui ognuno di noi vive. L'atroce rassegnazione con cui i clienti vogliono ricreare momenti surrogati, siano essi un sereno dialogo su una partita di tennis, una nuotata nel mare d'inverno o una cena, è diffusa normalità, è accettazione del fatto che nella vita recitiamo dei ruoli e che la morte lascia solo un posto vuoto. Le domande ricorrenti delle Alpi sugli attori preferiti non sono casuali: quello offerto dai quattro non è un servizio sociale, ma un'interpretazione prezzolata, a cui aderire con fedele sussiego a tal punto da smarrire la propria identità, avvolta in un malinconico, robotico, asessuale grigiore.
Incipit ed excipit, oltre a fornire un'ulteriore occasione a Lanthimos di funzionalizzare musica e ballo al suo cinema, sono speculari ed enigmatici; il placido annullamento delle proprie pulsioni e ambizioni sembra condurre paradossalmente al successo, laddove un accenno di empatia gioca invece un ruolo negativo.
Nel ridotto cast spiccano una straordinaria Aggeliki Papoulia, ormai feticcio del regista le cui spigolosità trasmettono sempre un forte disagio, e l'emergente Ariane Labed, ma va segnalato anche Aris Servetalis, protagonista del precedente “Kinetta” e qui nei panni (forse un po' marginali) del baffuto e tirannico Monte Bianco.
Gli accenni ironici di Lanthimos sono sempre esigui, gelidamente sferzanti e ad azione brevissima, rendendo la visione di “Alpeis” estenuante e coinvolgente; la scena che più si destreggia fra il disturbante e il comico, a mio giudizio, è senz'altro quella in cui la messinscena di un litigio con successiva riappacificazione si risolve in un cunnilingus quanto mai impersonale e costruito.
Il gioco cerebrale e formale, che crea situazioni e personaggi che sfidano ogni paradosso, è il nocciolo della poetica dell'autore greco, che coadiuva il tutto con un'impostazione registica sempre rigorosa e distaccata. Può il suddetto gioco continuare a funzionare così egregiamente, senza sfociare in maniera? A detta di chi scrive, “The lobster”, sua prima escursione extra-ellenica e invero poco apprezzata in patria, è un gioiello al pari di “Kynodontas”, rispetto al quale evidenzia tratti comuni ma anche profondi cambiamenti (nonché felici adattamenti al primo budget cospicuo). “Alpeis” è un degnissimo raccordo fra i due lavori al momento più rinomati di Lanthimos, che al momento sta girando “The Killing of a Sacred Deer”. Inutile dire quanto lo attenda.
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