Regia di George Clooney vedi scheda film
Una volta un amico che ha i miei stessi gusti musicali e non mi ha mai tirato bidoni mi ha trascinato ad un concerto secondo lui epocale: un certo numero di artisti americani famosissimi (io: mai sentito uno) si sarebbero esibiti in una serata evento, un tributo ad un loro famosissimo collega (mai sentito neanche lui) appena morto. Sono andata e dopo mezz'ora di sofferenza, con la scusa di andare in bagno mi sono rintanata in un angolino del bar a leggermi un libro che avevo provvidenzialmente in borsa.
La stessa cosa avrei voluto fare stasera al cinema assistendo a LE IDI DI MARZO, ma avrei dovuto disturbare una dozzina di persone della mia fila. E così mi sono sorbita 98 minuti senza intervallo di nulla. Un nulla ben scritto, benissimo interpretato, splendidamente fotografato.
Un film dove scopriamo che quello della politica è un brutto mondo, che di solito i candidati di sinistra perdono le elezioni perché non sono disposti a sporcarsi le mani quanto quelli di destra, dove chi più sbandiera la parola lealtà è il primo disposto a vendere anche il suo migliore amico per raggiungere i propri fini, dove il ricatto la fà da padrone, dove TUTTO è in vendità: sai che novità!
Vedo qui sopra che il film è stato inserito nella taglist "Tradimenti": ma chi NON tradisce?
Il candidato alle primarie democratiche (George Clooney) tradisce la moglie (Jennifer Ehle) con una stagista 20enne della sua campagna elettorale. La ragazza (Evan Rachel Wood) figlia di un pezzo grosso del partito, resta incinta e decide di abortire di nascosto per non sputtanare il padre cattolico, aiutata dall'amante (Ryan Gosling), il giovane addetto stampa; il quale, contattato con offerte di tradimento, che lui sdegnosamente rifiuta, dal capo staff (Paul Giamatti) dell'avversario, viene fatto fuori con l'accusa di slealtà dal capo del suo staff (Philip Seymour Hoffman) che invece l'aveva incastrato apposta. E lui si vendica, ricattando il candidato quando la ragazza si suicida, e prendendosi il posto del suo ex-capo. In più c'è questo mondo per me incomprensibile del complicatissimo sistema elettorale degli Usa, fra primarie e martedì elettorali, dove una mezza notizia, vera o falsa che sia, sussurrata alla giornalista del Times (Marisa Tomei) basta a spostare di decine di punti le previsioni, e dove un senatore dell'Ohio (Jeffrey Wright), coi suoi 376 delegati, può decidere chi diventerà il nuovo Presidente; e così si mette all'asta, un candidato gli offre "solo" il dipartimento di Stato e alla fine lui sceglierà l'altro, che gli offre la Vice-Presidenza.
Insomma, una storiaccia che neanche gli sceneggiatori di DALLAS o di BEAUTIFUL.
George Clooney cede il posto in prima fila nei titoli al bravo Ryan Gosling, che interpreta il vero protagonista della storia (un 30enne già marcio, chissà fra vent'anni) e sfodera in questo film tutte le espressioni facciali che aveva ben nascosto in DRIVE.
Oltre ad interpretare il sardonico candidato, Clooney fa per la quarta volta molto bene il suo lavoro di regista e dimostra soprattutto di saper scegliere il cast, tutti interpreti di altissimo livello, e il direttore della fotografia, il greco Phedon Papamichael, che spara una serie di primi e primissimi piani da paura.
Ma nonostante tutto ho la sensazione poco piacevole di aver buttato una serata. Forse avevano ragione le persone, deluse quanto me, con cui chiacchieravo alla fine: è un film americano, fatto per un pubblico di americani, realizzato allo scopo di risvegliare le coscienze degli elettori - per noi europei, più "vecchi" e più scafati, è solo un tentativo lodevole, ma decisamente non riuscito .
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