Regia di Todd Solondz vedi scheda film
Todd Solonds mi piace da morire. Lo apprezzo per quella sua ostinata (e coraggiosa) ossessione a raccontare caratteri, manie, vizi inconfessabili e tendenze di una umanità che non ci piace e non piace neanche a se stessa: I suoi personaggi sono spesso sgradevoli, inetti, maniacali o maniaci veri e propri, e non fanno nulla per ingraziarsi la simpatia dello spettatore che li guarda, giudica, cataloga....e magari esce dal cinema con qualche dubbio in piu' e una minore autostima di quando è entrato in sala.
Si perchè nei personaggi di Solonds si nasconde la mediocrità che in fondo è bagaglio inevitabile di ognuno di noi nel viaggio complicato delle nostre vite; noi che tuttavia ci sentiamo perfetti e migliori di chiunque altro possa cercare di superarci od ostacolarci il cammino.
Abe e' un primogenito trentenne obeso e immaturo di una famiglia benestante. Vive ancora a casa dei genitori, nella sua cameretta, colleziona e costruisce giocattoli, guida una Hammer dai colori improbabili, tonalita' che fanno pure parte del suo abbigliamento abituale, certamente poco consono all'ufficio paterno ove il ragazzo distrattamente si reca piu' per convenzione che per volontà. Ad una festa conosce una bellissima ragazza mora (Selma Blair, non nuova a Solondz, attrice che amo molto e vedo troppo poco), un po' schiva e certamente troppo bella per lui per nutrire chances di conquistarla. Tuttavia iniziano a frequentarsi, prima distrattamente, poi sempre piu' convinti, fino ad arrivare a parlare di progetti per una vita assieme. Ma in quella occasione la ragazza rivela ad Abe di una sua malattia seria che potrebbe procurare problemi pure a lui. Tutto questo innesca una reazione, a tratti violenta e a tratti immaginaria (talvolta noi spettatori non sappiamo di preciso se quello che vediamo e' un'azione reale o un sogno del protagonista) da parte di Abe, che vede tutto il suo castello colorato franare davanti ai suoi piedi: i suoi genitori che vogliono improvvisamente e irremovibilmente cacciarlo di casa, addirittura licenziarlo per inettitudine al lavoro in modo da farlo destare e reagire a questa vita infantile e poco realistica in cui da tempo si è rifugiato; un fratello minore perfettino e primo della classe che gli fa le prediche del fratello maggiore; una matura collega d'ufficio, ai suoi occhi donna-virago che trasuda erotismo e carlalità, che vuole svezzarlo e si presenta ai suoi occhi nei momenti piu' difficili e imbarazzanti per condurlo, in Ferrari, nella sua esagerata elegante magione per un rapporto infuocato ed appagante, per poi preferirgli il ben piu' prestante e biondo giovane e preprato dipendente paterno. Che succede in effetti al grasso e mediocre Abe? E' tutta una congiura contro di lui? In realta' e' tutto piu' semplice (e triste) di come puo' apparire e un'altra vita "inutile" e irrisolta si appresta a scorrere via, mentre uno sparuto gruppo di parenti giunge nei pressi della sua ultima dimora terrena per dargli l'ultimo saluto, confondendosi pure sulla data della dipartita (ma poco importa in fondo, ammette un laconico e irresistibile Christopher Walken al fratello minore precisino di Abe quando questi fa notare la circostanza.... l'importante è non farlo notare alla mamma - dolce Mia Farrow - che potrebbe soffrirne ulteriormente). Un piccolo gruppo di parenti e conoscenti, tristi piu' per circostanza, in quanto in fondo quasi sollevati per l'ingombro che una provvidenza ineluttabile ha voluto togliere loro. Spiazzante come e piu' di sempre, lo stile inimitabile, soft e sarcastico di Solondz continua imperterrito a travolgerci con un pessimismo che non lascia scampo a soluzioni nemmeno provvisorie; ed e' proprio questa mancanza di via di via d'uscita e di soluzioni consolatorie anche posticce che rende grande e unico il percorso di questo grande autore.
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