Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Pesante, ostico, pretenzioso... Eppure ne vale la pena
Vincitore a Venezia 2011, si tratta di un film da festival se ce n’è uno: perciò è pretenzioso, lento, pieno di personaggi che filosofeggiano con fare ieratico mentre vengono ripresi in un modo che sembra voler andare di proposito contropelo a chi guarda.
Occorre una buona dose di pazienza – e all’inizio un pizzico di masochismo che però viene ben ripagato - per abbandonarsi al flemmatico fluire e così apprezzare a fondo questa lunga meditazione che unisce l’inutilità del sapere e le storture delle posizioni di potere che ne possono conseguire attraverso la reinterpretazione del libro di Yuri Arabov che a sua volta rivede il dramma di Goethe: il dottor Faust (Johannes Zeiler) non trova valido interlocutore che nel simil-Mefistofele rappresentato dall’Usuraio (Anton Adasinsky), ma nulla delle sue conoscenze può (e lo prepara) alle pulsioni nei confronti della giovane Margarete (Isolda Dychauk).
Intorno a lui vegeta un’umanità senza scopo che vive in un mondo che pare uscire da un quadro di Bosch, ma in cui dominano il verde putrido, il marrone, il grigio di una decadenza a cui non esiste rimedio.
La fotografia in 4:3 di Bruno Delbonnel è uno dei punti di forza dell’opera e non fa mancare lenti anamorfiche e inquadrature sghembe di stampo espressionistico che omaggiano l’omonimo capolavoro di F.W. Murnau.
Per mezzo di tale impianto visivo, il lavorio sottotraccia di Sokurov è in crescendo e raggiunge l’apice nella parte conclusiva con sequenze preziose quali l’inatteso bagno che può essere una ricerca di purificazione, la ‘resa dei conti’ finale con il protagonista ormai al delirio di onnipotenza e, soprattutto, la notte d’amore tra Faust e Margarete segnata da quell’accecante arancione che cancella il buio e resta indimenticabile.
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