Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Uno dei film più azzardati di Sokurov: una libera rilettura del poema di Goethe sotto il segno della morte, della putrefazione, della decadenza fisica e spirituale. Non ho mai letto il capolavoro dello scrittore tedesco, ma credo che qui Sokurov non abbia volutamente cercato la fedeltà alla lettera: quello che gli preme è costruire un universo intensamente cinematografico, almeno dal punto di vista dell’immagine che è un trionfo di citazioni pittoriche, da Bosch a Brueghel a Durer, nonché di raffinati effetti plastici e luministici. La contaminazione con l’elemento letterario avviene attraverso la presenza di dialoghi molto fitti e di una voce off di Faust che riflette sul senso dell’esistenza, il libero arbitrio e altri concetti filosofici. Scorie teatrali? Cascami letterari? Se il film avesse avuto un approccio visivo più scolastico e meno visionario l’eccesso verbale di certe sequenze avrebbe certamente pesato, ma mi sembra che Sokurov, in questo, abbia privilegiato l’invenzione più propriamente cinematografica (ad esempio nella scena della passeggiata di Faust e Margherita e della madre con Mefistofele, ribattezzato Mauricius, dove il dialogo fra le due coppie viene continuamente rilanciato ed intercalato, in un modo decisamente insolito). Alcuni brani di cinema visionario, come l’ingresso al bagno termale popolato da sole donne e soprattutto la parte finale girata fra i ghiacci e i geyser dell’Islanda, mantengono una pregnanza filmica degna del capolavoro dell’autore “Madre e figlio”, di cui vengono più volte riprese certe distorsioni ottiche e prospettiche. Qualche passaggio meno appassionante sicuramente c’è, a cominciare dalle disquisizioni dell’assistente di Faust, Wagner, ma non basta sicuramente a rendere il film noioso. E’ noioso il cinema degli autori di rottura come Kitano, Wong Kar-wai, Dardenne, Lynch, Bela Tarr? Poiché in questo novero comprendo anche Sokurov, il Faust per me non è noioso, e trovo in questo film un passo avanti rispetto ad “Arca russa”, il mirabolante piano-sequenza all’Ermitage che, però, restava troppo chiuso nella singolarità della propria sperimentazione. Il “Faust” sokuroviano mi sembra tutto tranne che un film d’attori, comunque ho apprezzato soprattutto l’interpretazione di Anton Adasinsky nel ruolo di Mauricius, un diavolo piuttosto disilluso che nel finale viene preso a sassate dal ribelle Faust, nonché la graziosa Isolda Dychauk nel ruolo di Margherita, decisamente un volto fotogenico che regge bene le inquadrature pittoriche che le dedica il regista. Sull’elemento religioso, mi sembra che emerga una sostanziale sfiducia di Sokurov nella trascendenza e, come conseguenza, un elogio delle possibilità dell’uomo, della sua intraprendenza e del suo agire concreto per modificare la Storia. Nella mia personale graduatoria dei film di Sokurov, “Faust” viene subito dopo “Madre e figlio” in un ideale secondo posto ad ex-aequo con “Il sole”, e lo ritengo superiore rispetto ad “Arca russa” e a “Moloch”. Forse non un vero e proprio “capolavoro”, ma un’opera a cui il tempo renderà giustizia.
Voto 9/10
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