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Faust

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su Faust

di Peppe Comune
9 stelle

Il dottor Faust (Johannes Zeiler), medico e teologo, ha una personalità che oscilla tra l’ascesi intellettuale volta alla ricerca degli insondabili segreti del mondo e l’adesione agl’istinti più insani che si accompagnano alla natura umana : fama, avidità, lussuria. E’ una figura tristemente tragica il dottor Faus, che una volta uscito dal suo laboratorio medico inizia una sorta di viaggio iniziatico in compagnia di un laido usuraio (Anton Adasinsky) dalle fattezze a dir poco sinistre. Conosce e si innamora della bella Margarethe (Isolda Dychauk) e desidererebbe tanto passare almeno una notte con lei. Ed è per esaudire questo desiderio, salvare la ragazza da una sorte avversa, e acquisire una sapienza illimitata, che il Faust accetta di firmare un contratto preparato dall’usuraio dai contorni chiaramente “mefistofelici”. 

 

 

Al di là della sceneggiatura e ben oltre le vicende rappresentate, il cinema di Aleksandr Sokurov è un’esperienza visiva che si pone al culmine di una ricerca stilistica abilmente ricercata, tra innovazione e tradizione, tra sperimentazione continua del linguaggio cinematografico e rispetto ossequioso della grande tradizione del cinema russo : tra formalismo estetico e realismo filologico. Con Sokurov, lo sguardo è proiettato verso un modo altro di rapportarsi con le immagini che scorrono sullo schermo, indotto a confrontarsi con un idea del visibile che è direttamente mutuata da quella che si acquisisce stando a contatto con i grandi maestri della pittura. Un estetica delle immagini espressa in forma pittorica (Bosch, Brueghel, Vermeer) e un susseguirsi di effetti ottici e cromatici che si alternano di continuo, fanno la sostanza poetica della sua forma cinema. Nel “Faust” diretto dall’autore russo (Leone d’oro a Venezia) si è come catapultati in un gioco di specchi che, nel suo squarciare spesso la linearità del racconto, oltre che a generare una voluta atmosfera straniante attraverso immagini che si fanno “sinistramente” oblique e insieme alla preminenza di colori (giallo ocra direi) che accertano il senso di fissità nella storia della multiforme natura dell’uomo, sembrano associarsi bene alle intenzioni originarie di Johan Wolfgang von Goethe, e cioè, quelle di fare della figura del Faust un archetipo fondativo dell’intera cultura occidentale. Dello spirito letterario voluto dal grande scrittore tedesco, Sokurov trae insegnamento per restituircene la sostanza tragico-filosofica senza disperdere il lato simil grottesco che la percorre, quella che concerne il fascino impertinente che la sete di potere suscita sul genere umano, il labile confine tra il bene e il male dovuto all’irriducibile caducità dell’uomo, tra una volontà votata al perseguimento di un utile collettivo e l’azione indirizzata dalle insane debolezze terrene. Il famigerato “patto col diavolo” arriva solo alla fine del film, al culmine di un “viaggio picaresco" (Giulio Sangiorgio) che si snoda in mezzo ad una sarabanda di situazioni tragicomiche che sono del tutto preparatorie agli influssi degenerativi che covano sotto l’epidermite del mondo, un viaggio che oscilla tra la pretesa di porre un ordine risolutivo tra le cose terrene attraverso la fede in una scienza che non conosce confini e i limiti conclamati della natura umana. Il Faust di Aleksandr Sokurov giunge al culmine della tetralogia sulla natura del potere (come recita la didascalia che chiude il film) ed è l’unico che si ispira ad un personaggio letterario. E non è stato un caso evidentemente, perché se con “Moloch”, “Taurus” e “Il sole” (rispettivamente sulle figure di Hitler, Lenin e l’Imperatore giapponese Hiroito) Aleksandr Sokurov ha inteso mutuare direttamente dalla realtà consegnataci dalla storia la sua analisi sull’esercizio del potere, evidenziandone la potenziale degenerazione messa a punto dai suoi detentori sia mostrandoceli spogliati della loro innata alterigia, spiati nell’intimità delle proprie stanze, che posti a stretto contatto con la banalità delle loro più ordinarie incombenze domestiche (Hannah Arend docet), con il mito del Faust ha voluto compiere un escursus intellettuale lungo il crinale della cultura occidentale per scorgere quei prodromi che stanno alla base dell’innata fascinazione dell’uomo per un potere che si desidera illimitato. Il dottor Faust è la rettitudine dell’uomo che non cede ad alcun compromesso morale, l’intransigenza etica dello studioso votato anima e corpo alla ricerca medica, il teologo che crede al perseguimento di un bene assoluto ; ma è anche lo scienziato avido di conoscenza, l’uomo posto fuori dall’esperienze concrete del mondo, assetato di sentimenti e voglioso di spingersi oltre i confini esplorati del conoscibile. E’ il sognatore alieno immerso in un mondo pieno di insidie e l’uomo fatto di carne ed ossa che cede al più classico ricatto dell’amore per una donna. Il Faust si accompagna al senso di morte per tendere al dominio sulla vita, il patto supremo che stipula con il diavolo è un espediente mitico che riflette preciso il carattere contraddittorio e mutevole della natura umana. Il Faus messo in scena da Aleksandr Sokurov, invece, è un grande film che rende ottimamente il cinema lo spirito profondo dell’opera letteraria, con l’adeguata indipendenza intellettuale e una pregevole resa stilistica.

 

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