Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Sperando che la mia terra abbia finalmente smesso di tremare (o per lo meno di farlo con l'intensità e la frequenza delle settimane scorse) provo timidamente a riaffacciarmi in rete, visto che sono uscito personalmente indenne da questo drammatico evento anche se con molte ammaccature intorno, e soprattutto con qualche problema di lavoro che spero possa sistemarsi al più presto.
Necessario andare avanti no? e allora ci provo a farlo dopo una forzata e prolungata assenza dal sito.
Non avendo ancora possibilità concreta di approcciarmi alla programmazione delle sale, ho approfittato della tregua di questi giorni per visionare (recuperato in Dvd) uno straordinario capolavoro come il Faust di Alexander Sokurov, emblematica "figura" che il regista ha scelto per chiudere la sua personale tetralogia sulla natura e l'esercizio del potere dopo quelle di Adolf Hitller (Moloch), Vladimir Lenin (Taurus) e l'imperatore del Giappone Hirohito (Il sole).
Come si può ben comprendere dunque, per la chiusura del suo ciclo invece di ispirarsi a un personaggio reale, ha preferito attingere ad una delle più affascinanti e importanti icone letterarie della cultura tedesca, proprio quel Faust la cui fama è giunta fino a noi grazie alla rappresentazione che di lui ne ha dato Goethe, e alla quale si è dichiaratamente ispirato (anche se liberamente) lo stesso Sokurov.
Faust dunque, un uomo tormentato (reso magnificamente da Johannes Zeiler), impegnato a lavorare in un luogo tanto sporco da somigliare più a una bettola che a un laboratorio di ricerca.
La storia segue lo schema classico (anche se in questo caso un poco inusuale) a partire dal decisivo incontro del dottore con il demonio, che qui ha le sembianze di un abominevole vecchio (eccellente la "lettura" che di questa figura ci dà Anton Adasinskiy con la sua ambigua ma sfaccettata interpretazione).
L'ansia del successo e il desiderio di possedere la giovane Margherita, portano il protagonista ad intraprendere un drammatico viaggio attraverso il senso stesso dell'esistenza.
Se Goethe però vedeva nel patto fra Faust e Mefistofele la lenta consumazione di un dramma esistenziale, Sokurov sembra invece voler privilegiare una differente interpretazione mostrandoci semmai il loro avvicinamento quasi come un accadimento persino inevitabile.
Lo stile del regista, come sempre elegante, personalissimo e di straordinaria presa, è qui sublimato da un'estetica e da una potenza visiva che colpiscono a fondo lo spettatore, lo coinvolgono e lo "stravolgono" (in senso positivo, ovviamente).
Vero e proprio capolavoro, come già detto in apertura, è un'opera da assimilare e sulla quale è necessario meditare seriamente anche per le profonde implicazioni filosofiche, che ha giustamente vinto a Venezia il Leone d'oro, ma incontrato solo timidamente il favore del pubblico delle sale.
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