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Faust

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su Faust

di ROTOTOM
10 stelle

Lento, verboso. Ma anche accecante. Potente come un maglio che si abbatte sui sensi. Sokurov conclude la tetralogia del potere descrivendone l’impietosa deriva. Dopo Moloch, Taurus e Il Sole rappresentanti rispettivamente Hitler, Lenin e Hirohito, Faust conduce in un nuovo territorio magmatico e dislocante. Solo ispirato alla storia di Goethe, Sokurov rinuncia alla riproduzione calligrafica del testo per immergere le mani nelle pulsioni dell’uomo. Se nei precedenti film della tetralogia veniva rappresentato il potere assoluto della follia, delle ideologie e delle divinità, in Faust il potere è quello meschino e corporale dell’essere umano. Il film inizia con il professor Faust con le mani immerse nelle viscere di un cadavere alla ricerca dell’anima. Dove si nasconde l’anima?  La discesa di Faust nelle proprie pulsioni è delegata al Verbo, alla sua fallace natura umana, avviluppato alle intenzioni e ai desideri come un serpente tentatore. L’inganno è perpetrato da un magnifico Mefistofele, raffigurato come un laido e mostruoso usuraio. Sprofondati nelle viscere dell’umanità non può essere che un arido mercante di miserie umane l’adescatore, un illusionista che smercia l’anima senza valore degli uomini, sgravati dal peso di alti ideali e limitati da pulsioni basse e bisogni carnali. La tentazione di Faust sta nella scoperta di una bella paesana, spiata sotto le gonne durante un bagno pubblico. L’anima in cambio di una notte con la giovane. 

Non è affatto un film facile Faust e merita una seconda visione per cogliere in pieno il senso delle discussioni tra il professore avido di conoscenza e Mefistofele, farsi largo nel caos e nel disordine per ritrovare una verità fallace che porti alla definitiva perdizione. L’inquadratura è densa di corpi accalcati, gli umori sgorgano fisici dallo schermo, i fumi, i vapori, il fetore dei corpi sono tangibili. I prodigi si sovrappongono alla scienza montando superstizioni, l’usuraio con il suo osceno corpo a pera attraversa la storia con rettile accondiscendenza, pronto a far credere ciò che l’uomo desidera credere.  Quello che si gode è il talento visivo di un artista immenso. Opera che attraversa il Tempo per divenire universale, viaggio grottesco attraverso le sozzure del Mondo, un Medioevo untuoso e decadente ma al contempo metafora dell’indecenza del potere e del suo fallimento. Sokurov impasta di luce le suggestioni del kammerspiel espressionista anni 20, in un quadro 4:3 dalla fotografia virata, dalle immagini distorte e allucinate che spingono chi guarda oltre le convenzioni del cinema per elevare l’anima allo stato dell’arte. Forse l’arte è il vero potere. Questo finale d’anno è stato caratterizzato dalla presenza di altri due film dalle forti valenze filosofiche e metafisiche accordati ad un sentire comune bisognoso di riflettere sulla natura dell’uomo, delle sue effimere certezze e del suo potere fallace. The Tree of Life di Terrence Malick prima, Melancholia di Lars von Trier poi e ora il Faust di Sokurov, affondano lo sguardo nella materia molle di cui è fatto l’uomo pescandone  lo sguardo smarrito nell’infinito nel quale stenta a riconoscersi ma ricordando la principale capacità della natura umana di creare, di dare materia al pensiero attraverso l’arte. La storia dell’arte è attraversata come un dardo dalla luce di Sokurov che imprigiona sensazioni ed emozioni antiche per trasferirle sullo schermo.

Il Faust di Sokurov è debitore all’espressionismo tedesco, al Faust di Murnau (1926)  in modo particolare, nella sua claustrofobica e oppressiva rappresentazione del mondo che si piega e si trasforma attorno all’uomo come manifestazione del disagio interiore. Le immagini distorte, virate di colori innaturali hanno lo scopo dislocante di trasferire lo sguardo in un posto altrove e qui nello stesso istante. Corpo diverso ma anima identica, la corresponsione tra l’oggi e il Medioevo aggressivo e gravido di morte è lampante. Ricorrono i vividi colori dei pittori fiamminghi, gli incubi allegorici di Hieronymus Bosch nella tumultuosa rappresentazione del vizio in cui cade l’essere umano in assenza della grazia di Dio. Nell’ inconfondibile  passo narrativo dei maestri russi, debitore di Tarkowskij nel suo errare zigzagante, Faust è uno essere assetato di conoscenza e voglie viscerali condotto raggirato da uno Stalker viscido, l’usuraio mefistofelico.  Un Virgilio indifferente alle sconcezze dell’inferno, ciarliero e sarcastico. Un capolavoro.  

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