Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
E’ come andare a museo, magari all’Ermitage, e trascorrere un paio d’ore fra i quadri di Hieronymus Bosch, l’esperienza al cinema con questo ennesimo capolavoro di Aleksandr Sokurov, il Leone d’oro dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Accanto al Faust di Goethe, di Heinrich Heine e Richard Wagner, solo per citarne alcuni, ora c’è il Faust di Sokurov, che della tragedia di Goethe conserva l’ambientazione desolante di un mondo alla deriva, fatto di spazi angusti e anche maleodoranti, dove si affaccenda l’umanità.
Faust è il vagabondo errante, il pensatore, cospiratore e sognatore. Un uomo guidato dai soli istinti della fame, del sonno, dell’avidità e della lussuria. Creatura infelice, perseguitata soprattutto dal tempo che, inesorabilmente, avanza.
Come il romanzo, anche il film di Sokurov ha come protagonista questo ricercatore/dottore Faust. Un uomo dedito alle ricerche scientifiche, in modo particolare a quelle che hanno i loro naturali risvolti sulle funzioni del corpo umano, qui analizzato, sezionato e ripercorso, pezzo per pezzo, alla ricerca dell’esistenza dell’anima. Interesse che attira l’attenzione di Mefistofele, che si nasconde nei panni di un usuraio e il cui unico interesse é sfruttare le umane debolezze. Così Faust si lascerà tentare dalla smania del potere, dalla ricchezza e dalla lussuria, fattasi persona attraverso Margaratesi, una donna che si impossesserà della sua anima. Così, Faust concede a Mefistofele di agire, fermando all’infinito il momento di estasi della sua unione con la giovane donna. In cambio Faust gli cederà la sua anima. E sarà una specie di naturale possesso sul potere umano a prevalere.
Infatti, Faust chiude la tetralogia sulla natura del potere di Sokurov, iniziata nel 1999 con Moloch e proseguita poi con Taurus e Il sole. Rispettivamente su Hitler, Lenin e Hirohito. Solo Faust è dedicato ad un personaggio letterario. E si ha modo di capire anche la differenza, dal fatto che quest’ultimo film, a differenza degli altri, ha la parola come protagonista. Non c’è spazio alcuno per il silenzio in Faust.
Quella di Sokurov è un’opera monumentale, una beatitudine visiva, che si avvale di una fotografia stupefacente, quasi onirica, virata al verde, di Bruno Delbonnel. La perfezione è tale che in ogni inquadratura si ha l’impressione di cercare la pennellata, fissata su tela, con le sue luci e soprattutto tenebre. Quelle che, appunto, scandiscono e rabbuiano l’umano agire, racchiuso nelle parole del suo rappresentante naturale: “Ho cercato l’anima, ma non l’ho trovata”.
Questo Faust di Sokurov è un gran bel ‘pezzo’ di cinema, destinato a diventare oggetto di culto, di studio, candidato alla Storia, perché in esso l’estetica è tutt’una con la poetica e la filosofia. L’immagine completa sull’opera d’arte per eccellenza: l’umanità. Quindi, un’opera oltre il cinema.
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