Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Leone d’oro veneziano assegnato nel 2011 a questo film, ultima opera della tetralogia del potere del regista russo Aleksandr Sokurov.
Non esiste difesa alcuna da opporre al degrado al quale l’umanità è destinata a soccombere: il male, infatti, ha sempre il sopravvento sul bene, così come la violenza sulla bontà, o il calcolo utilitaristico sulla solidarietà.
Non resta che firmare col sangue un patto di compromesso con il male stesso,che nel film è un decrepito usuraio, cinico e avido di denaro, senza sesso, con un ridicolo codino fra le natiche e con due ali tarpate e perciò incapace di sollevarsi in volo.
sol una nocte, et mai non fosse l’alba…*
Attingendo alla ricca tradizione letteraria che rappresenta lo scienziato indotto al patto col diavolo per amore della conoscenza assoluta, il regista ci racconta di Faust, che, disperando della possibilità di trascendere la realtà materiale fatta di fame, sporcizia, fetori e sterco, nella quale tutta l’umanità è immersa senza scampo, stringe con Mefistofele, un patto di sangue.
Ne avrà in cambio una notte d’amore con Margherita, la sola creatura che, evocando con la sua bellezza la luce accecante della conoscenza possibile, permette agli uomini di superare il proprio orrido egoismo, uscendo finalmente dalla disperazione.
Faust – secondo l’antica tradizione letteraria forse di origine germanica – è un medico tedesco, che – in una lurida stanza male illuminata – procede all’autopsia di un cadavere frugando con le proprie mani nude nel ventre squarciato dell’uomo per estrarne i visceri con l’ansia di chi vorrebbe trovare, oltre che budella e sacche escrementizie, l’anima.
Purtroppo, alla repellente realtà della fetida materia di cui si compone il corpo sezionato, corrisponde l’altrettanto repellente realtà del vivere quotidiano nel settecentesco villaggio tedesco, popolato da genti ignoranti e superstiziose, quando non da truffatori, ladruncoli e violenti ubriaconi.
Un’unica e sola notte d’amore, dunque, avrebbe fermato miracolosamente il tempo prima che i suoi effetti devastanti trasformassero anche il bel ventre dorato e nudo della giovinetta in quel repellente e maleodorante ammasso di visceri infetti che l’inizio del film aveva rappresentato?
Il risveglio, ahimè, avrebbe ribadito a Faust che nessuna salvezza é possibile: calarsi agli inferi per un momento di estasi non permetterà di riemergere a riveder le stelle: senza la corazza protettiva di Mefistofele, egli sarà costretto ad affrontare inerme l’ira di Dio, metaforicamente rappresentata da una serie di immagini paesaggistiche di grande suggestione e potenza espressiva.
Questo film racconta col linguaggio originale di Sokurov, il senso dell’avventura faustiana, coinvolgendo l’interesse degli spettatori per una una vicenda non solo già nota, e raccontata anche dal cinema, ma non lontana dal nostro mondo, dai suoi dis-valori e sicuramente vicina al mondo della Russia e dei suoi oligarchi.
In realtà la galleria di immagini dal livido colore verdastro della morte e del degrado porta il segno indelebile di un regista attento a non separare l’aspirazione all’assoluto e alla bellezza dalle ambizioni personali al potere e al dominio, inducendo alla riflessione sul senso della vita nel probabile silenzio di Dio.
Molti e pertinenti i richiami alla pittura nordeuropea – da Hyeronimus Bosch a Vermeer a Rembrandt – reinterpretata in modo personale, mentre nella rappresentazione del villaggio e della sua umanità plebea e fondamentalmente “bruta” ho creduto di scorgere l’attenzione di Sokurov al Pasolini dei Racconti di Canterbury o del Decameron, ovviamente con significato diverso, se non addirittura opposto.
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* F. Petrarca
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