Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film
Quando Werner Herzog vide Animal Love, Seidl d’annata 1995, disse di non aver mai guardato così direttamente dentro l’inferno. Così, una trilogia dedicata dal moralista austriaco al paradiso è puro paradosso. Presentato a Cannes 2012, primo di un trittico che comprende Faith (Venezia 2012) e Hope (Berlino 2013), Love racconta di un paradiso bassamente mondano, biecamente turistico: Teresa, dalla Felix Austria, guarda verso il mare, e in Kenya cerca di far fruttare il proprio privilegio economico per riscoprire l’amore. La ricerca sentimentale rivela i conflitti del capitalismo globale: lei vuole che gli scultorei giovini africani la guardino «dentro gli occhi, nell’anima», ma da subdola colonialista impartisce ordini su come toccare il suo corpo disfatto e cadente, paga continuamente, ma pretende di credere alla bugia dell’amore. Loro si riducono a macchiette a favor di sguardo occidentale, vestono lo stereotipo culturale, ballano, sorridono, offrono illusioni a pagamento a chi le chiede, si lasciano sfruttare, per poi poter sfruttare. Seidl coglie nel documentario come nella fiction lo schiantarsi dell’ideologia occidentale, dei suoi miti e delle sue visioni (la satira è sia della pala d’altare sia della bande dessinée), sulla tabula rasa sentimentale dello scambio economico, della logica individuale del godimento, dell’ottuso accumulo feticistico. Pornografico e umanista, insieme: non imbelletta l’osceno e guarda lo stato dell’uomo fuor d’ipocrisia.
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