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Paradise: Love

Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Paradise: Love

di alan smithee
8 stelle

L'Africa affamata che ti aspetta al varco. L'ignaro turista forse un po' sprovveduto che si trova circondato - davanti ad un paradiso che vorrebbe raggiungere, toccare e vivere con le proprie emozioni interiori - da una folla di venditori invasati che come zombie ti accerchiano lentamente, cercando di proporsi ognuno con la sua mercanzia, tutta uguale e tutta inutile. Si viene in tal modo a creare una linea di confine immaginaria, che non si vede ma segna inesorabilmente lo stacco tra chi puo' concedersi anche solo un breve periodo di riposo dallo stress di tutti i giorni e chi invece lo stress della vita occidentale non sa cosa sia perché deve pensare come vivere alla giornata, sfamando la sua numerosa famiglia che vive nell'indigenza e nell'impossibilità di ogni minima prospettiva. 
Tutto questo e' ciò che si presenta agli occhi di chi si reca oggi in Centr'Africa, in uno qualunque dei paradisi kenioti e zanzibarini, angoli lussureggianti dove l'Occidente costruisce villaggi super moderni e lussuosi, senza neanche farsi scrupolo di asfaltare una strada che agevoli la vita delle migliaia di persone locali che vivono nella quotidiana povertà fatta di espedienti e lavori saltuari, sperando che almeno uno della loro numerosa famiglia venga assunto nei villaggi per la più umile delle mansioni che possa mantenerne in vita molti altri.
E dove la Chiesa prosegue imperterrita predicando il divieto di contraccezione, grazie al quale i figli nascono come cavallette senza un controllo e dunque senza un futuro che  si possa almeno solo delineare attorno ai destini senza speranza di tutta quella infanzia senza sbocco alcuno.
Teresa è un'insegnante cinquantenne austriaca che accudisce giovani con gravi handicapp mentali e psico-motori; una donna un po' obesa, sola al mondo tranne che per una figlia indolente, fredda e distaccata come oggi molte liceali sue coetanee.
Un giorno la donna decide di regalarsi una vacanza in un resort in Kenia che la distragga da una solitudine più forzata che voluta e da una vita familiare che ci rimane sconosciuta, ma di cui non ignoriamo la sostanziale apatica insulsa ripetitività ed il vuoto interiore dilagante che caratterizza il panorama di una sfera privata che ormai non esiste neanche più.
Nell'accogliente atmosfera paradisiaca e tropicale che la circonda, Teresa ha modo di conoscere alcune concittadine smaliziate e disinvolte che la coinvolgono sempre più (in)coscientemente in una spirale di sesso mercenario a pagamento, organizzato con crescente disinvoltura grazie alla complicità interessata di alcuni dei piu' prestanti ragazzi locali.
Inizialmente appagata da un rapporto senza remore, totalmente carnale, quasi meccanico e dettato da esigenze contrapposte inconciliabili, la donna si accorge ben presto che ogni occasione e' sfruttata da quei gigolò un po' improvvisati per spillare soldi alla malcapitata, che si ritrova dunque sempre piu' sola, usata e spremuta da una povertà e da una fame senza rimedio che finisce per prenderti in ostaggio come per tentare di risolvere problemi dalle proporzioni paurosamente inarrestabili.
Il film del bravissimo regista di "Canicola", primo di una trilogia di "paradisi" molto discutibili ed incentrati su figure femminili irrisolte ma non per questo arrendevoli, affronta temi e situazioni antitetici propri di due mondi che vivono agli antipodi e che nell'incontrarsi accendono inesorabilmente la miccia che conduce alla scintilla più vivace ed incandescente, ideale per far esplodere il conflitto di due interessi opposti senza soluzione: la sopravvivenza materiale di chi vive nel mucchio e non ha i mezzi per pensare fino ad un imminente prossimo futuro, contro quella di chi possiede tutto ciò che gli serve per la sussistenza, ma ha perso ogni senso di sicurezza, e non riesce piu' a godersi una soddisfazione personale di essere apprezzato per almeno una caratteristica, un aspetto che lo renda unico agli occhi di qualcun altro, e lo allontani da una solitudine devastante ed apparentemente senza via d'uscita. Un film potente, che osa fino in fondo senza remore, senza veli o falsi pudori, specchio drammatico di una antitesi sociale, economica ed interiore che non sembra avere alcuna possibilità di soluzione; non certo quella meramente economica, cioe' quella che si prefigge un completo reciproco soddisfacimento che nasce dall'incontro di una domanda ed una offerta che non riescono mai ad elidersi reciprocamente, nonostante i mille affanni della mente occidentale sazia di materia, ma affamata di contatto umano che latita, in piena antitesi con l'inganno di base della nera ed indigente tribù della fame, che usa ogni espediente per far sue delle risorse sempre più limitate ed insufficienti.

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