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Paradise: Love

Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film

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La recensione su Paradise: Love

di AtTheActionPark
8 stelle

Lo sguardo di Seidl è un rasoio che si abbatte sul mondo. La sua visione nichilista e annichilente estirpa dall’umanità anche gli ultimi brandelli di speranza. I suoi racconti hanno come fine ultimo proprio l’uomo, che si divincola tra falliti tentativi di pietà e gesti di abissale egoismo. Con Paradies: liebe, Ulrich Seidl realizza il primo di tre film che costituiranno una sorta di trilogia sui componenti di una famiglia austriaca – il suo territorio speculativo prediletto. Protagonista di questo primo episodio è la madre, la cinquantenne Teresa, che lascia casa e figlia per un periodo di vacanza in Kenya. Una vacanza che, presto, si tradurrà in bieco turismo sessuale, dopo che le sue speranze di ricevere affetto - senza l’uso di denaro - falliranno miseramente.
Seidl sfrutta un’ormai precisa e perfetta messa in scena, forse mai così d’impatto. I quadri che realizza la macchina da presa, perlopiù fissi, immortalano un’umanità divisa in caste, dove turisti bianchi e autoctoni neri sono separati, non solo da linee di demarcazione visibili, ma da prospetti di tipo spaziale. L’integrazione è pressoché impossibile. Essi si contrappongono anche a livello fisiognomico: i bianchi, grassi e sfatti come in un dipinto di Courbet; i neri, asciutti e atletici, quasi delle sihlouette dai tratti somatici indefinibili. Da sfondo, il “paradiso” tropicale africano, composto da infinite spiagge assolate e pacchiani hotel di lusso, da cui le scimmiette inermi vengono scacciate a colpi di fionda.
L’esplicitazione del sesso, presente anche in questo capitolo, non è da intendersi come puro scandalo, ma conseguenza di una messa in scena che non vuole censure. L’abbruttimento morale e umano dei personaggi di Paradise: liebe deve necessariamente passare attraverso questa l’umiliazione dei corpi e dei gesti. Quel che ne consegue è un cinema, di certo, «respingente» – come si scrive su “Sentieri selvaggi” -, ma che bisogna inquadrare nella giusta prospettiva: non un percorso gratuito, quanto, piuttosto, sofferto. Teresa giunge a pagare per “scopare”, perché non ha alternative. I neri sfruttano i turisti come loro sfruttano la loro terra. È certamente, questa, una visione nera, senza speranze: ma, bisogna sempre ricordarlo, terribilmente e infinitamente sofferta.

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