Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film
Teresa (MargareteTiesel) è una cinquantenne austriaca che per avvincere la noia della solitudine si regala una vacanza in Kenya. La donna è attratta non solo dalla bellezza paradisiaca delle spiagge keniote, ma anche dalla possibilità di soddisfare gli ormai sopiti piaceri della carne. Le spiagge del Kenya sono infatti famose per la presenza di giovani del luogo che vendono per qualche soldo la loro compagnia. Teresa si imbarca nel più classico filone del turismo sessuale quindi, e tra piaceri soddisfatti e amare sorprese ha modo di rendersi in prima persona partecipe di una pagina tutt'altro che edificante del mondo contemporaneo.
“Paradise Love” è il primo capitolo di una trilogia in cui Ulrich Seidl affronta il tema della ricerca della felicità ad opera di tre donne a diverso modo avvinte dai morsi della solitudine e ugualmente desiderose di assecondare i piaceri della carne. Il paradiso a cui si riferisce la trilogia è quel luogo sognato alle cui forme luccicanti ad ogni costo si cerca di corrispondere, sia attraverso una rinnovata complicità di spirito sia assecondandone i risvolti più effimeri.
In questo film sono messi in bella mostra due aspetti caratterizzanti il modo di fare cinema dell'autore austriaco. Il primo, fa riferimento alla maniera straniante con cui l'architettura della messinscena avvolge e coinvolge i protagonisti, sempre corrosiva e mai pacificata. La regia di Ulrich Seidl tende ad essere disturbante non per i puro gusto di esserlo, ma perché questo è uno dei modi più accreditati per dare delle soluzioni visive adeguate all’incipiente crisi dei valori
Il secondo, è l'assoluta centralità conferita ai corpi (cominciata con “Canicola” è proseguita lungo tutta la sua filmografia), che belli o brutti che siano, deformati dagli anni o ancora sessualmente appetibili, si rendono spendibili sugli scaffali floridi del consumismo globalizzato. In mano a Seidl, i corpi sembrano far emergere tutta la vocazione sessuale che conservano dentro, lasciando entrare in rapporto di sintonia la verità inoppugnabile delle sue forme con la disponibilità che si rinnova ogni volta a farsi merce di scambio.
Teresa è una cinquantenne che si regala una vacanza in Kenya per sfuggire alle noie del quotidiano. Il suo corpo non è più appetibile, ma ha preso un volo diretto verso uno dei “paradisi” riconosciuti del turismo sessuale. E gli basta questo per credere di poter appagare come e quando vuole gli impulsi della carne. Con i soldi è possibile comprare tutto, anche la compiacenza interessata di giovani indigeni che spruzzano virilità da tutti i pori, anche l'illusione di essere ancora una donna desiderabile. Tutto questo fa vivere in uno stesso spazio le strategie del raggiro degli indigeni affamati con il fascino per l'esotico dei turisti d'assalto : il servilismo recitato ad arte di quanti vivono all'ombra della ricchezza ostentata fin sotto il loro naso è la vacuità tipicamente borghese di chi crede di poter sfuggire senza alcun costo aggiuntivo alla loro indole padronale.
Ulrich Seidl li fa essere due facce di una stessa medaglia in quanto comportamenti fortemente tipizzati e facilmente riconoscibili. Fino ad abusare dello stereotipo per meglio smascherare la complementarità funzionale che nel panorama consumistico globale intercorre tra l'istinto parassitario dei primi e la vocazione predatoria dei secondi. Perché è solo stando insieme questi due mondi, nelle modalità volutamente eccentriche che Ulrich Seidl ha voluto inserire in un quadro fortemente caratterizzante, che è possibile offrire una fotografia del reale difficile da non ritenere attendibile.
Un aspetto cardine a supporto di questa considerazione arriva da una precisa soluzione scenografica voluta dal regista austriaco. Spesso i corpi muscolosi dei ragazzi kenioti sono inquadrati in campo medio mentre sono immobili come ad aspettare qualcuno che ne apprezzi la bontà. Sembrano stare in vetrina, in attesa che qualche donna avvizzita compri ciò che di meglio hanno loro da offrire. A fare da sfondo ci sono la bellezza verginale delle spiagge e le acque limpide del mare, tutto sembra costruito per far incontrare il genere umano all’origine dell’innocenza perduta. Ecco, in questo quadro letteralmente paradisiaco, la fissità ostinata di quei corpi virili si configurano come dei tableau vivant che nel loro mettersi in posa per farsi ammirare evidenziano la gratuita mercificazione dei corpi in un universo valoriale retto sull'incontro-scontro tra lo spirito di sopravvivenza di alcuni e l'accumulo di piacere di altri.
Il tutto costruito secondo il modo corrosivo di fare cinema di Ulrich Seidl, un autore che preferisce attenzionare gli effetti più deformanti della nostra dorata (post)modernità.
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