Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film
Nel 1980 non esistevano i reality shows, non esisteva la televisione che frugava nelle vite delle persone e che nell'impeto di massimo realismo ne filmasse momento per momento la quotidianità. O addirittura la morte. Al massimo c'era stato un romanziere inglese, tale George Orwell, che con un romanzo in cui parlava di un Grande Fratello di regime che tutto sapeva e tutto controllava, forse aveva messo la pulce all'orecchio di certi despoti. Che sogno per un tiranno controllare momento per momento la vita dei suoi sudditi!
Il film di Tavernier parla di un'altra delle ossessioni televisive. Filmare oltre che lo svolgersi della quotidianità anche quel momento in cui si passa dalla vita alla morte. Un momento che sarebbe salutato dai massimi livelli dell'audience televisiva, unica misura attendibile della possibilità di un programma televisivo di andare avanti. E se pensiamo anche solo ai fatti di cronaca di questi ultimi tempi che riempiono i palinsesti e che decretano il successo di trasmissioni prima guardate più o meno da una cerchia di intimi aficionados, allora si può comprendere quanto il film di Tavernier fosse in anticipo sui tempi. Sono due gli elementi che tra gli altri sconvolgono ne La morte in diretta: il pragmatismo anaffettivo del produttore televisivo che acconsente praticamente a tutto pur di filmare Katherine che si sta lentamente spegnendo e la decisione di Roddy di annullare l'intimità del proprio sguardo, sostituire ai suoi occhi delle telecamere che riprendono comunque la donna senza che lei se ne accorga ( era fuggita per non farsi riprendere).
Dove è posto il limite del filmabile,oltre cui non si può andare?
La morte in diretta verte su questo interrogativo, è un apologo fantascientifico( ma non troppo) filosofico in cui si cerca di capire fino a dove può spingersi il mezzo televisivo, se il voyeurismo del pubblico deve essere sempre appagato con nuove, sconvolgenti cose da riprendere. Parla anche di come i mass media possano produrre ad arte uno spettacolo ingannevole, usando mezzi poco leciti per confezionarlo.
La morte diventa l'ultimo grido del filmabile, non c'è più neanche una minima riserva morale sul rispettare l'intimità di tale momento.
Ed è sicuramente per questo che Tavernier nel film nega lo sguardo alle telecamere e lascia l'esito volutamente fuori campo.
Di grande efficacia anche l'insolita ambientazione,tra le periferie cadenti di Glasgow, degno sfondo post apocalittico e gli squarci di incredibile verde nelle campagne intorno che sembrano quasi testimoniare un ritorno alla purezza della natura.
Nel film non esistono mezze misure: si vive protetti dalla propria potenza econiomica o si vegeta reietti dentro ostelli in cui qualche anima pia ti fornisce un letto e un pasto caldo.
La morte in diretta probabilmente è stato un film che ha raccolto meno di quanto meritasse:la sua regia raffinata,la sua fotografia preziosa, la sua critica ragionata ai mass media sono passati praticamente sotto silenzio perchè arrivati dopo il pamphlet urlato Quinto Potere di Sidney Lumet altro film a suo modo anticipatore dei tempi.
Quello che sconvolge del film di Tavernier è la lucida analisi di un qualcosa che sarebbe arrivato almeno venti anni più tardi.
Un film sventuratamente profetico.
raffinata
splendida come al solito
ottimo
anche per lui una prova decisamente positiva
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