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La morte in diretta

Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film

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La recensione su La morte in diretta

di Peppe Comune
8 stelle

Roddy (Harvey Keitel) è un uomo che accetta di sottoporsi ad un'intervento che consentirà ai suoi occhi di diventare una vera e propria telecamera che riproduce su schermo tutto ciò che fissano. Lo strumento viene tastato su Kathrine Mortenhoe (Romy Schneider), una scrittrice di successo affetta da un male incurabile. Contattata da Vincent Ferriman (Hanry Dean Stanton), il direttore di una rete televisiva che intende comprare i "diritti della sua morte" per farne una trasmissione televisiva, Kathrine prima accetta e poi scappa. Viene trovata da Roddy, che l'avvicina e le sta accanto affettuosamente consentendo all'insaputa della donna la trasmissione degli ultimi giorni della sua vita.

 

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/4/41/La_morte_in_diretta.png

La morte in diretta - Romy Schneider e Harvey Keitel

 

"La morte in diretta" di Bertrand Tavernier è un acuta riflessione sull'immoralità dei mass media e applica al cinema il vaticinio "orwelliano" della disturbante invasività dell'occhio meccanico, un filtro che distoglie lo sguardo dalla libera ricerca della verità e che genera una conoscenza eterodiretta attraverso il continuo scambio di identità tra la realtà e la sua riproduzione mistificata. Sono le storie televisive che imitano la realtà o è la vita reale che tende convenzionalmente a modellarsi agli stilemi consolatori adottati dalla televisione "generalista" ? E' una domanda cardine del nostro tempo questa, oggi più cogente di trent'anni fa, una domanda che fa da sfondo a un film che attraverso l'emblematica delineazione di tre diversi tipi d'autore, riflette sulla pretesa oggettivazione della riproduzione televisiva della realtà e sul legame che senza soluzione di continuità tende ad identificare chi guarda con chi è guardato, la conoscenza con la simulazione che si fa di essa e le immagini prodotte dal mezzo televisivo con la realtà tout court. Tutto questo mentre il corpo di una donna è avvinto dall'approssimarsi della morte, quando la rassegnazione mista a paura fa scendere al minimo grado le sue possibilità di resistenza e il voyeurismo "telediretto" è al massimo delle sue capacità affabulatorie. Roddy sceglie consapevolmente di rendere pubblica l'intimità del suo sguardo, di farsi da tramite per la rappresentazione eterodiretta della realtà . Annulla la sua soggettività sottraendosi al flusso naturale della vita. Concepisce tutto come un gioco, e si diverte anche, finchè non scopre la forza dirompente dei sentimenti e la straziante assenza dei sogni. Katherine, invece, si ribella alle mire totalizzanti dell'occhio indagatore e sceglie di non mischiare la ripetibilità di una qualsiasi esperienza parziale con la riproduzione in serie del senso più profondo della vita, di non contaminare anche l'unico momento dove si è ancora pienamente liberi, quello in cui si può disporre del proprio corpo fino alla fine dei propri giorni. Vincent, infine, rappresenta l'idealizzazione dell'immagine mistificata, il delirio di onnipotenza di chi vuole condurre lo sguardo a vincere la sua particolare battaglia contro l'irriproducibilità della morte. In questo gioco a tre, guardare è la stessa cosa che essere guardati mentre lo sguardo e l' assenza di verità tendono a coincidere perchè tutto è partecipe della stessa realtà indifferenziata e perchè non ci può essere pretesa di conoscenza attraverso una volontà eterodiretta. Per sottrarvisi occorre abbandonarsi alla solitudine, fuggire lontano dalle luci dei riflettori, lasciarsi accecare dal buio. In pratica è quello che fa Bertrand Tavernier, che nel finale che si consuma nella bella casa del fratello di Katherine, Gerald (Max Von Sidow), sceglie di tenere fuori campo le decisioni risolutive, di preferire la forza del silenzio alla facile retorica dell'esplosione tardiva dei sentimenti. Come a voler ulteriormente sottolineare la presenza di qualcosa che in alcun modo può essere oggetto di riproduzione e il fatto che Katherine rappresenta il limite che si è sottratto all'onnicomprensiva invadenza del potere mediatico. Possono essere riprodotti frammenti di esistenza, situazioni tipo, mai la vita in se, con tutto il suo corollario di sensazioni mutevoli e la straordinaria forza terapeutica dell'immaginazione. Un grande film.

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