Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film
Il pedofilo non è l’elemento singolare in un contesto di gente perbene. Non è l’abisso isolato che rimane in agguato nel buio. È, invece, parte di un tutto, facilmente riconoscibile e contiguo ad ogni altra manifestazione umana. Dal gioco al sesso il passo è breve, ed impercettibile, o magari assente, è il confine tra il gioco e la violenza, tra il brivido della sfida tra ragazzi ed il pericolo mortale. Sono proprio gli adulti a trasmettere l’idea che la differenza tra far per finta e far sul serio non esista, che la realtà abitata dall’orco sia la naturale proiezione di una favola. Viola viene molestata dal patrigno, ma quando lo riferisce a scuola, i suoi insegnanti non le danno ascolto, oppure minimizzano. Sandro si diverte a strapazzare il figlio, improvvisando con lui scene degne di un film dell’orrore, e il bambino per un po’ ride, ma poi si spaventa, mentre viene fatto roteare in mezzo alla stanza, attaccato da un drago nero, cucinato e tagliato come un pollo, immerso a testa in giù in un fiume. Bava è un vagabondo ubriacone, che ama mescolarsi ai ragazzini, e questi partecipano allo scherzo. Il mondo è pieno di mostri, ed è difficile distinguere quelli innocui da quelli che possono veramente fare male. Il dottor Boldrini, con le sue stravaganze, non è molto diverso dagli altri; anch’egli, in fin dei conti, è uno dei tanti interpreti della sinistra magia che alberga tra i casermoni dei quartieri dormitorio, in mezzo ai cumuli di rifiuti e di rottami, dove il paesaggio ispira storie di guerra, di territori da difendere, di battaglie da combattere. La durezza dell’ambiente stimola l’immaginazione, aprendola, contemporaneamente, all’incubo e al sogno, tra le lamiere contorte che scottano al sole e offrono una precaria copertura a sotterranei rifugi. Verità e finzione sono i chiaroscuri di cui sono disseminati i prati incolti e la terra battuta, dove rimane, come unica via di fuga, il gusto du costruire castelli di fantasia e detriti. Quel luogo è talmente triste e brutto che non è poi così strano se il pediatra è visibilmente pazzo, parla da solo e pronuncia, anche durante le visite in ambulatorio, frasi davvero sconcertanti. Il ferro è arrugginito, il suolo polveroso, ci si sporca correndo e ci si ferisce cadendo: questa è l’aspra logica della vita, che macera i corpi, e con la sua crudezza, induce a credere che fumare, dire parolacce e lanciare bottiglie rientri nell’ordine naturale delle cose. A dare il cattivo esempio è l’ambiente nel suo complesso: diseducativo è il suo aspetto squallido e trascurato, a cui nessuno sembra voler porre rimedio, lasciando che il degrado prosegua indisturbato la sua opera. Disimpegno è rifiutarsi di vedere ed astenersi dal giudicare: un peccato che commette anche il professore quando, durante il collegio di classe, valuta gli allievi con superficialità, sorvolando, in ugual misura, sulle loro mancanze e sui loro punti di forza. La ruggine, quello strascico amaro che accompagnerà Sandro, Cinzia e Carmine in tutti gli anni a venire, è il ricordo di un abbandono, di uno scarico di responsabilità da parte dei grandi che, nel cuore della loro infanzia, li hanno costretti a buttar via la loro innocenza, per ribellarsi ad un’infame tragedia. Hanno disobbedito, sono stati cattivi, e in questo modo si sono salvati. Il diavolo ha fatto sì che i conti tornassero, il male si è rivelato pagante, ed ha vinto sul suo unico nemico, che è ancora e sempre il male. Su quei tre bambini, da allora, è calata la notte: sono cresciuti sani ed onesti e conducono una vita forse non molto brillante, ma più o meno normale, però c’è qualcosa di nero che si portano dentro. Lo dimostra Sandro con quello dice, Cinzia con quello che pensa, Carmine con quello che vede. Al di sotto delle apparenze, nel fondo dell’anima, l’oscurità è totale, e non ci sono spiragli: una negatività uniforme azzera la fiducia e tinge di macabro anche la luce del giorno. Lo scrittore Stefano Massaron ed il regista Daniele Gaglianone mettono in scena un racconto impastato nella crudeltà, quella che spinge un bambino a infilare una lucertola in una bottiglia, e quella che alimenta le turpi azioni di un maniaco assassino: la sostanza è la stessa, in certi punti è più densa, in altri più rarefatta, ma è onnipresente e dilaga oltre ogni limite, fintanto che nessuno la ferma.
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