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Ruggine

Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film

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La recensione su Ruggine

di barabbovich
2 stelle

Il Mystic river dei poveri - tratto dal romanzo di Stefano Massaron - si svolge a Torino, periferia-periferia-periferia (casomai qualcuno non lo avesse capito dopo una cinquantina di inquadrature da ogni angolazione possibile), anno di grazia 1977 (casomai qualcuno non lo avesse capito sentendo snocciolare la formazione del Toro campione d'Italia, quello di Pulici e Graziani). Qui un gruppo di ragazzini, per lo più figli di immigrati, è testimone dello stupro e dell'assassinio di una di loro. Nessuno ne fa parola con gli adulti, nella convinzione di non essere creduto, giacché l'omicida-pedofilo-stupratore è lo stimato dottor Boldrini (un Filippo Timi come sempre sopra le righe). Anni dopo, i ragazzi che furono testimoni di quella esperienza vivranno ancora nei tumulti emotivi di quel ricordo terribile.
C'è sempre la periferia del capoluogo piemontese, ci sono sempre storie estreme di disagio metropolitano, c'è sempre la figura del diverso, c'è sempre la musica acidissima a supporto delle immagini nei film di Daniele Gaglianone (Nemmeno il destino, Pietro), regista che pretende di prendere la patente come Grande Autore declinando in tutte le salse il suo cinema della disperazione. Non basta impartire allo spettatore un'intera seduta di scrutini, una girandola interminabile di giochi di Stefano Accorsi con il figlioletto né basta la ricerca dell'effetto visivo a tutti i costi - dalla ripresa dell'ombra sul muro, che didascalicamente segnala la presenza dell'uomo nero, ai continui fuori fuoco - per entrare nell'Olimpo del cinema, perché con film del genere si rischia piuttosto la pedata dall'ingresso di servizio.
Mastandrea, sprecatissimo, vola molte spanne sopra tutti gli altri. Bambini inguardabili: ma Gaglianone non ha mai visto Polanski e De Sica?   

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