Regia di Walter Salles vedi scheda film
Sal Paradise (pseudonimo di Jack Kerouac) racconta le vicende che, dopo la morte del padre, lo videro vagabondare dapprima in solitaria e poi insieme all'amico disadattato Dean Moriarty (pseudonimo di Neal Cassady), per tutti gli Stati uniti d'America dalla East alla West Coast e da qui fino in Messico, fino al ritorno a Ozone Park, nei sobborghi del Queens, New York, dove riversò di getto ed in un unico rotolo di carta da parati lungo 36 metri le sue memorie nel libro autobiografico 'On the road' che divenne simbolo e manifesto insieme della contro-cultura americana e della cosidetta 'Beat generation'.
Se lo stesso Kerouac aveva intuito le potenzialità cinematografiche del suo soggetto più importante con un progetto che non vide mai la luce, doveva essere il segno di un crudele e ironico contrappasso il fatto che questo venisse messo in scena, nella forma di un biopic-letterario patinato e conformista, da un autore aduso all'edulcorazione consumistica del mito ('I diari della motocicletta') come Walter Salles. Resoconto autobiografico di un romanzo autobiografico, il film di Salles utilizza le vicende di una genesi letteraria che si forma già come esperienza umana e professionale (se la vita secondo Kerouac può essere intesa come imprescindibile fonte di ispirazione) che si presta con naturale semplicità ad un adattamento cinematografico che abdica alle funzioni precipue ed alle potenzialità del mezzo stesso per ridurlo alla narrazione consolatoria di un raccontino per immagini fatto di bei ragazzotti che cercano nella dimensione di nuove esperienze lisergiche la risposta ad una frammentazione esistenziale e ad uno sradicamneto cultuale che l'autore sudamericano non sfiora nemmeno lontanamente.
Ammesso che l'importanza e l'influenza di Kerouac (più di quella di altri autori decisamente radicali come Burroughs) nella cultura del Novecento sia commisurabile al mito pop che da essa sembra essere scaturito, già dalle modalità di un'esperienza letteraria così innovativa e vitale emergono prepotenti i germi di un disadattamento sociale che oscilla continuamente tra le rassicurazioni dei (falsi) valori borghesi (la famiglia, il lavoro, il consumismo) nell'America del dopoguerra e l'inquietudine di una generazione che sente l'irrefrenabile e selvaggio bisogno di rimettersi continuamente in discussione attraverso l'approdo ad una dimensione del quotidiano apparentemente priva di progettualità e votata consapevolmente all'autodistruzione (l'alcol, le droghe, il sesso, la precarietà economica, il vagabondaggio). Del radicalismo hippie di un'esperienza così devastante e fondativa, Salles ne estrapola solo gli aspetti più banalmente riconducibili ad un cinema di intrattenimento in cui la piaggeria degli argomenti, l'appeal dei personaggi e la ridondanza di un simbolismo posticcio concorrono tutti insieme a riconfermare quei codici della retorica di genere che mortifica tanto il valore storico e filologico dell'opera letteraria quanto l'originalità di un approccio autoriale che ne sappia reinterpretare (non è questa in ultima istanza la funzione principale del cinema impegnato?) i sentimenti ed i significati più profondi.
Abbandonata l'idea di dare spessore ai personaggi o di ricreare i fermenti più autentici di un'epoca di radicali mutamenti della società americana, si passa dalle banalità dei luoghi comuni (letterari) più scontati all'esaltazione en-passant della musica jazz, dai locali fumosi dell'East Long Island agli spazi sconfinati dei paesaggi americani (ben fotografati da Eric Gautier), dalle folli auto in corsa lanciate lungo la Route 66 alla ginnastica spensierata a gaudente dell'amore libero, tutto al solo scopo di poter concludere la narrazione con il messaggio consolatorio che l'esperienza sia servita almeno a raccontarla come si deve
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2012 è un film che sembra lasciare il tempo che trova, giustificando nella misura ipertrofica del metraggio (140 min), nella buona resa del montaggio e nella bella colonna sonora, il prezzo di un biglietto che avremmo potuto senz'altro spendere meglio.
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