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On the Road

Regia di Walter Salles vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su On the Road

di alan smithee
4 stelle

La trasposizione cinematografica del notissimo romanzo-diario di Kerouac era, tra i film del Concorso a Cannes 2012, forse quella piu' attesa, quella su cui si riponevano piu' speranze per il glamour che un cast forse non sfarzoso, ma che vede coinvolti astri nascenti e vecchie ed apprezzate conoscenze festivaliere, avrebbe potuto suscitare nell'atmosfera superficiale e mondana che ruota in quei giorni davanti a quella faraonica Mecca del cinema. Di fatto il film di Salles e' stata forse la sola pressoché unanime delusione di tutta la rassegna principale. Forse troppa era l'attesa fremente di un adattamento per nulla semplice da realizzare, tanto che da decenni ormai lo script, piu' volte rimaneggiato, faceva il giro delle scrivanie dei produttori hollywoodiani sempre piuttosto dubbiosi sulla possibilita' di una trasposizione. Per non parlare dei registi che se lo sono rimbalzato, questo progetto troppo impegnativo: a cominciare da Coppola, gia' da fine anni '90, che desiderava coinvolgere nel suo progetto quel Di Caprio all'epoca semi-dio dopo il boom del Titanic. 
Alla fine la matassa scomoda ed intricata e' toccata a Walter Salles, uno che di trasposizioni se ne intende, e pure di viaggi, non foss'altro che per il fortunato (e sin troppo strombazzato) adattamento del percorso formativo sui sentieri andini di un Che Guevara ventenne ne "I diari della motocicletta". Il problema principale nello stile adottato da Salles risiede a mio avviso nella tendenza del pur impegnato regista a semplificare, ad usare le immagini per rendere piu' lineare un romanzo che invece, in questo caso, nascendo pressochè come diario, si presta a divagazioni e digressioni che lo rendono pure spesso ostico nella lettura.
Penso allora, forse poco elegantemente, a cosa sarebbe potuto succedere se a dirigere i lavori fosse stato proprio il Coppola visionario e quasi folle dei recenti Twixt o Tetro, oppure se l'adattamento fosse finito nelle mani (bucate e spesso poco caute nel rispettare i limiti di budget) del Terry Gilliam di "Paura e delirio a Las Vegas", o ancora ad un Cronemberg che quasi vent'anni fa si accingeva ad adattare l'impossibile "Il pasto nudo" di Burroghs. Ma sono solo pensieri infruttuosi, inutili dietrologie che non fanno altro che farci sospirare su quello che e' stato fatto (nulla di ignobile sia ben chiaro, ma tutto un po' troppo inerme e piatto per convincere davvero, come se bastassero i corpi nudi e sudati dei tre protagonisti per scaldare l'ambiente e rendere l'idea di un disagio o di una ribellione che muovono l'animo tormentato di Sal e Dean) e quello che si poteva fare. I destini di una "gioventu bruciata" nel periodo post-bellico dal '49 al '52 trovano Sal e Dean come ideali protagonisti di un viaggio che e' solo l'inizio di una protesta giovanile che vedra' poi svilupparsi i movimenti ben piu' organizzati del '68. Per questo probabilmente il romanzo di Kerouac e' un apri-pista, l'anticipatore di un fenomeno che segnera' un'epoca, l'origine di una tendenza e un nuovo modo di affrontare la pagina scritta (non certo in questo caso la narrazione cinematografica). Nell'adattamento puntuale, perfettamente ambientato e reso come un compito corretto ma freddo, scritto in una calligrafia perfetta ma un po' senz'anima a livello di contenuto, spicca tuttavia almeno l'interpretazione vitale, tenace ed emotiva del giovane Garrett Hedlund che sotterra quasi il piu' riflessivo e dimesso Sal di un Sam Riley che rispetta il suo ruolo, ma rimane inevitabilmente troppo sotto tono per tener testa alla vitalita' dirompente dell'altro piu' scalmanato, sensuale e ribelle.

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