Regia di Michael Hoffman vedi scheda film
Ennesimo remake che non manca di possedere aspetti interessanti, o almeno spazi anche molto divertenti, ma che inevitabilmente obbliga a porsi più di una domanda.
La prima, e più ovvia, è sicuramente quella legata alla necessità della presenza degli immensi fratelli Coen alla sceneggiatura che non manca di alcune (inaspettate) cadute di tono e comunque non è legata ad un progetto originale (anyway, mi pare tempo perso per due menti come le loro).
Il curatore d’arte Harry Deane (Colin Firth) non se la passa bene ed anche per questo decide di architettare un piano per truffare l’affarista Lionel Shabandar (Alan Rickman), grazie anche all’aiuto del Maggiore (Tom Courtenay).
Ma per farcela ha bisogno anche di un elemento esterno individuato in PJ Puznowski (Cameron Diaz), una rodeista texana dai modi tutt’altro che fini.
Arrivare in fondo sarà tutt’altro che una passeggiata anche perché il piano “vanta” parecchie falle.
Pellicola che (soprav)vive tra alti (raramente altissimi) e bassi (anche molto bassi), comunque divertente quanto basta anche se ha il problema che le cartucce migliori se le gioca presto e che finisce col fiato assai corto.
Così è decisamente efficace il castello campato in aria costruito da Harry Deane, tanto che dopo un paio di decine di minuti ci si chiede cosa possare ancora succedere, bene, in realtà non siamo ancora partiti e tutto andrà in maniera diversa.
Facile, quanto immediato (anche da pensare), comunque appoggiarsi su un tris d’assi di interpreti quali sono quelli presenti in prima linea; Colin Firth è in “vacanza” (e forse è pure un bene), ma si presta al gioco (anche troppo, ma fa sorridere), Alan Rickman ci mette meno di un attimo ad inquadrare il suo personaggio (e questo vale sia nella macchinazione che nella “realtà” dei fatti), mentre Cameron Diaz è un assoluto peperino che non accetterà di invecchiare (un ruolo ancora da starlette), ma sa farlo bene (silhouette da urlo), in più ha un pesonaggio che funge da incomodo a tutto gas.
In più i comprimari sono vincenti, Stanley Tucci e Tom Courtenay sono due carte pregiate e ben spese.
Certo, sotto sotto non c’è troppa materia (tanto meno grigia), tanti siparietti funzionano egregiamente nella loro semplicità, ma soprattutto nel finale si accusa un po’ di fatica.
La chiusura infatti non è proprio ricca, non manca il colpo di teatro (per quanto scarsamente credibile), ma non avviene nel solco della solidità, anzi.
Film tutto sommato carino, ma anche un pizzico deludente a pensarci bene (dalla firma Coen è obbligatorio attendersi di più).
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