Regia di Michael Hoffman vedi scheda film
Se alla sceneggiatura ci sono i Coen, è facile che il truffatore Harry Deane, interpretato nel 1966 da Michael Caine, si spogli del solido carisma britannico per diventare un vessato dipendente del ceto medio. Le statue si trasformano nei Covoni di Monet da spacciare per autentici al capo, e la trattenuta Nicole di Shirley MacLaine diventa la scatenata texana P.J. Puznowski di Cameron Diaz, cavalcatrice di tori e, alla bisogna, pure di qualcun altro. L’intrigo è lo stesso: gambit, gambetto, ovvero l’apertura che negli scacchi esige il sacrificio di qualche pedone per pensare in grande. In tempi di crisi «il piano non è più operativo» e serve creatività per uscire dall’anonimato. Se il Deane di Colin Firth rompe gli schemi sfruttando la fantasia di una Diaz che mostra (poche) rughe, carisma e lingerie, il legnoso Hoffman asseconda lo script per coprire una sconfortante pochezza di messa in scena. A funzionare sono i momenti da sitcom - con intrecci e scambi dialettici in ritmica escalation tra protagonisti e comprimari di lusso (Tucci e Courtenay su tutti) - e il ricorso a un grottesco che supera il reale per poterne cogliere, in forma caricaturale ed estrema, vizi e compulsioni altrimenti inaccessibili. Peccato che, al dunque, gli esiti comici siano affidati a un karaoke per giapponesi dipinti come idioti, a Harry su un cornicione in mutande, al peto di una signora: possibile che i Coen non abbiano trovato nulla di più originale per farci ridere?
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