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The Brest Fortress

Regia di Alexander Kott vedi scheda film

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La recensione su The Brest Fortress

di OGM
8 stelle

L’inizio dell’Operazione Barbarossa. L’attacco sferrato a sorpresa all’Unione Sovietica dalla Wehrmacht, il 22 giugno 1941. La fortezza di Brest, una località della Bielorussia situata al confine con la Polonia, è una cittadella abitata da migliaia di persone, civili e militari. Quel giorno viene sottoposta ad un massiccio bombardamento e, contemporaneamente, viene invasa dalle truppe di terra. Ma resiste. L’assedio finirà solo il 30 giugno, dopo giorni di stragi, di scarsità di viveri, di precarie condizioni igieniche, di mancanza di cure sanitarie. L’epilogo sarà una sconfitta, ma non una resa.  I comandanti del contingente di stanza nella fortezza saranno successivamente riconosciuti come eroi nazionali: le onorificenze, per molti di loro, giungeranno postume. Alexander Kott, giovane allievo russo di Andrzej Wajda, prende spunto dal saggio storico di Sergei Smirnov per rievocare la storia di un orrore isolato, in una roccaforte remota ed inaccessibile, e per questo motivo passato inosservato. Per fare emergere quella urla di strazio e di terrore, Kott pone la sua macchina da presa in mezzo alla gente in fuga, al centro delle scene di battaglia e di distruzione, mettendo a fuoco i dettagli, soprattutto quelli più terribili, per non dimenticare il dolore di nessuno. La prospettiva individuale diventa un caleidoscopio iperrealistico, se la si moltiplica per cento, facendo sì che tutti i personaggi siano contemporaneamente protagonisti: l’azione multicentrica, in cui nessuno è  una semplice comparsa, è la risposta al nulla in cui, in seguito ai grandi massacri, sprofondano le identità delle singole vittime. Kott vuole sostituire i nomi e i volti ai numeri, mettendo a fuoco, per ogni persona, le paure, i momenti di vigliaccheria e quelli di coraggio, gli slanci d’amore e le vampate d’odio. La sua regia comprime l’azione, mentre dilata il tempo, riempiendo lo sguardo dello spettatore di una ferocia corale, ma polifonica, in quello che, a prima vista, può sembrare un macabro compiacimento, ed invece è l’espressione fattiva del dovere di guardare, di testimoniare, di non distogliere gli occhi da ciò che insostenibile. Il compito di osservare è affidato al piccolo Alexander Akimov, un personaggio immaginario, che viene inserito nel racconto per conferire alla narrazione una prospettiva imparziale ed innocente, interamente umana, anziché storiografica. Il ragazzino non è né un bambino, né un adulto; né un civile, né un soldato, visto che indossa sì una divisa, però non possiede armi,  perché è membro della banda militare. E, soprattutto, è privo di legami affettivi con la gente del luogo, avendo perso i genitori nel 1937, in Spagna.  Il suo punto di vista è un’obiettività sofferta, perché, in assenza di persone a cui rivolgere una particolare attenzione, è estesa all’universalità del male, all’intero scenario di morte e disperazione: una visione panoramica sull’insieme della guerra, in cui in ogni angolo ci sono sangue, cenere, cadaveri, macerie e, soprattutto, esseri umani a cui offrire aiuto. Alexander, con la sua figura fragile e impotente, eppure seriamente impegnata e generosamente disposta verso chiunque abbia bisogno, rappresenta la giusta veste che, nella mente e nel cuore dell’umanità, dovrebbe assumere la Memoria: una  superiore dimensione di consapevolezza in cui ogni persona, vicina o lontana, ed ogni momento, presente o passato, diviene ugualmente reale, e quindi ugualmente importante. The Brest Fortress è un monumento al ricordo, o meglio alla sua vittoria sull’oblio, che usa il cinema per proiettare in grande, e con  colori accesi, il mostruoso, paradossale aspetto della guerra, che è uno spettacolare massacro, ed una grottesca follia.

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