Regia di Francesco Bruni vedi scheda film
Nel gergo dei giovani romani, “scialla” vuol dire “stai sereno”. Il termine ha trovato una certa popolarità quando Amici di Maria De Filippi ha utilizzato il nuovo vocabolo per intitolare la compilation con le canzone dei concorrenti del talent. “Scialla” è entrato quindi nel linguaggio quotidiano di una generazione, anche se, almeno per quanto posso testimoniare, la parola non fa breccia nei cuori di tutti: noi altri preferiamo dire un normalissimo “tranquillo” (variante: “tranquì”) o “rilassati”, ma son gusti.
L’istituzionalizzazione del neologismo passa attraverso un film d’autore con una ben poco nascosta e assai giustificata ambizione di coniugare molte tendenze del cinema italiano contemporaneo: il giovanilismo delle notti prima degli esami e la sensibilità adolescenziale di Francesca Archibugi, la solitudine e lo smarrimento dell’uomo maturo (cinquantenne o giù di lì) in un mondo che non ha più niente con gli anni della propria giovinezza (qualche risvolto alla Nanni Moretti c’è, e non solo per quel motorino che scodinzola pigro per Roma) e la commedia all’italiana dei maestri che con leggiadria e perizia, esperienza e naturalezza riuscivano a raccontare i cambiamenti di un Paese con ironico piglio sociologico.
Non è un caso che dietro la macchina da presa ci sia Francesco Bruni, dai più considerato come l’erede del mai troppo rimpianto Furio Scarpelli (con cui scrisse Ovosodo, il terzo film di Paolo Virzì, altro vero erede della tradizione) e uno dei pochi italiani a saper scrivere una commedia (non una farsa, tanto per intenderci). Scialla! è la sua opera prima e si vede: un film piccolo e delizioso che riesce a non cadere mai nel baratro peggiore per un autore ed un film (non aver niente da dire), privo di spocchia e davvero onesto nella sua semplicità lineare e senza fronzoli.
È vero che il film perde un po’ quota nella seconda parte, quando l’ansia di voler conferire al racconto una giustificazione istruttiva (con l’evidente omaggio a I quattrocento colpi come romanzo di formazione per antonomasia), ma è una debolezza che non può che essere attribuita all’acerbità della regia di Bruni. Che, tuttavia, regge benissimo il film nel complesso.
In ogni caso, l’ora e mezza di Scialla! scorre via sorridente grazie ad una sceneggiatura che pone al centro della scena un tema importante (l’inattesa scoperta di un figlio burino da parte di un professore disilluso e trasandato) e lo affronta con un garbo raro, privo di presunzione e con visibile cognizione di causa (dietro Bruno Beltrame ci dovrebbero essere sia delle conoscenze dirette dell’autore sia un’attenzione meticolosa al vivace disegno del protagonista).
Bruni non si concentra soltanto sul rapporto tra Bruno e Luca, il suo figlio ritrovato (che forse avrebbe avuto bisogno di un padre, ma forse anche no, chissà) e sceglie anche di tratteggiare caratteri di contorno gustosi, come la pornostar bella ed intelligente di Barbora Bobulova o la barista impicciona di Paola Tiziana Cruciani (più scontato il gangster di borgata intellettuale di Vinicio Marchioni, inevitabilmente legato alla figura del Freddo di Romanzo criminale), evitando così di sobbarcare tutto il peso del film sulle spalle di due personaggi che avrebbero potuto correre il rischio non sostenere fino in fondo la storia.
Le spalle in questione sono dell’esordiente Filippo Scicchitano, assolutamente promosso a pieni voti, e di un Fabrizio Bentivoglio da urlo. Bruno Beltrame è una summa del suo percorso artistico, in cui confluiscono la stralunata malinconia di Federico Lolli (in Turné), il passato fatto di illusioni perdute di Cesare (L’aria serena dell’ovest), il fascino sopra le nuvole di Marco (La parola amore esiste) e le frustrazioni dello scrittore fallito (Ricordati di me). Bentivoglio è magnifico: un uomo di seconda mano che si veste male perché di base se ne frega di apparire, che vive in mezzo a libri introvabili e latte scaduto, sconquassato dall’arrivo di questo figlio inaspettato, frutto di una notte d’amore rimossa ma dal ricordo evanescente e piacevole, che non riesce a capire perché la gente la pensi in un certo modo così assurdo per chi ha una determinata visione di vita civile e normale.
Un adorabile e tenerissimo pesce fuor d’acqua verso cui è impossibile non provare una istintiva simpatia, la cui immagine resta impressa nella mente di chi ha imparato ad amare questo esordio delicato e concreto, godibile ed avvolgente, che dovrebbe essere visto tassativamente dai miei compagni nati dopo il 1991. Da noi altri disillusi (come Bruno, con l’aggravante dell’inconsapevolezza) già a vent’anni, che non abbiamo più uno straccio di ambizione, che non abbiamo le palle (passatemi l’espressione) di compiere il gesto che porta Luca a gettare il cuore oltre l’ostacolo e mettere da parte le cazzate dei nostri quindici anni.
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