Il loro aspetto è quello delle signore molto per bene all’epoca: vita di vespa, gonne scampanate e sgargianti, capelli cotonati e laccati: la femminilità, insomma, stereotipata, subordinata all’esigenza della seduzione, fondamentale per donne che neppure immaginano di poter lavorare per guadagnarsi da vivere.
Le nere, invece, lavorano per loro: sono le tate dei loro figli, con i quali, in genere, stabiliscono un rapporto di vero affetto, ma si occupano anche della casa e del cibo.
Le loro mansioni sono tutte impegnative e delicate, ciò che dovrebbe testimoniare un fondamento di fiducia nei loro confronti.
Purtroppo non è così: gli orari massacranti, le pretese spesso assurde, il pregiudizio nei confronti della diversità della loro pelle, le discriminazioni conseguenti e umilianti ci dicono che la strada per i diritti civili è ancora lunga e in salita: per questi diritti Jon Kennedy e Martin Luther King stavano lottando e di lì a poco sarebbero stati uccisi.
Eppure, anche nella città di Jackson, qualcosa sta per cambiare: la giovane Eugenia Skeeter (Emma Stone), di ritorno dal College, si è fatta un’idea diversa della vita delle donne: vuole lavorare, magari tentando la strada della scrittura, attività che adora.
E’ inoltre inorridita dai modi di fare, di atteggiarsi di vestire, nonché dai discorsi che sente fra le donne bianche, a cominciare da sua madre, probabilmente più intelligente di altre, ma ormai pigramente adagiata nel conformismo pettegolo, parolaio e anche feroce delle preziose ridicole della città.
Grazie a lei, (e anche al maturare di un clima nuovo sotto la presidenza Kennedy, aggiungerei), sarebbe uscito uno scandaloso libro in cui le autobiografie delle donne nere -col loro fardello di dolori e umiliazioni, nonché di storie più o meno divertenti - erano state raccolte, così da costituire una importante documentazione, utilizzabile nella lotta per i diritti civili.
Il film è quindi una specie di “come eravamo” non solo per gli spettatori americani: rinfrescare la memoria quando la rimozione del passato è la norma, può essere utile. Può servire anche a noi, non per spiegare come eravamo, ma come stiamo diventando: ridicoli e crudeli nella pacchiana ostentazione della nostra ricchezza, di fronte agli stranieri che lavorano duramente per noi, senza diritti civili, a partire da quello di cittadinanza.
Il film ha purtroppo un fondamentale difetto: seguendo – anche troppo minutamente – le tracce del best seller da cui è tratto, sembra scritto con un occhio all’Oscar per il buonismo un po’ dolciastro e politically correct nella descrizione delle dure ingiustizie subite dalle donne nere, cittadine americane discriminate.
Eccellenti le interpretazioni delle attrici nere, soprattutto di Octavia Spencer, nel ruolo di Minny.
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