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Bed Time

Regia di Jaume Balagueró vedi scheda film

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La recensione su Bed Time

di Decks
10 stelle

Dopo il meritatissimo successo del primo e secondo capitolo di [REC], Jaume Balagueró ha ormai raggiunto la fama internazionale; a dimostrazione di ciò, vi è la distribuzione di altri due film facenti parte della saga, soprattutto per voleri di marketing, che purtroppo non raggiungeranno minimamente la buona fattura e lo stile delle prime pellicole.

Ma in mezzo a queste strategie di vendita c'è il tempo per "Mientras Duermes". Fortunatamente, oserei dire.

Esso è difatti il film che consacra definitivamente il regista catalano; il primo vero capolavoro che, si spera, precederà altri film dalla medesima riuscita.

 

Stavolta, neppure lo stravolgimento del titolo da parte dei distributori italiani è così terribile, visto che riesce comunque a dare quel senso di timore che ci sovviene quando ci infiliamo sotto le coperte, confrontandoci con la completa oscurità.

Si torna un po' bambini, quando la nostra mente divaga intorno alla nostra stanza, fantasticando su entità o presenze che si manifesteranno una volta chiusi gli occhi.

Il sonno, si sa, è un momento delicato, ed è anche il momento della giornata in cui siamo più vulnerabili; ed è proprio da questa insicurezza che i nostri sensi si acutizzano: sia su inesistenti movimenti dell'anta dell'armadio, su impercettibili rumori provenienti dalla finestra o sul fruscio e il respiro di un presunto uomo nero sotto il letto.

Da questo incipit, Balagueró evolve il suo modo di fare cinema lasciando perdere spiriti ancestrali e zombie: il babau non è più un demone oscuro e amorfo che ossessiona i bambini, è bensì fortemente umanizzato similmente a ciò che fece Goya nel suo inquietante acquatinta: un quadro in cui viene raffigurato un uomo nero antropico e misterioso, avvolto dalle coperte.

Balagueró allo stesso modo crea il personaggio di César, che, a mio dire, è una delle facce indimenticabili del cinema horror del XXI° secolo.

 

 

Inizialmente rimaniamo ingannati dalla mitezza e la pacatezza di quest'ometto comune, che lavora come portiere in un condominio di Barcellona ed è costretto a subire i ricatti di una bambina presuntuosa, ma basta un cambio di prospettiva a ribaltare tutti i nostri preconcetti: un inquadratura di César sotto il letto. Solo una delle prime dimostrazioni della sua cattivera intrinseca, che, nonostante sia la prima, è forse proprio questa a colpire maggiormente lo spettatore, escludendo l'agghiacciante finale.

Se c'è qualcosa che fa veramente paura, difatti, è l'invasione della sfera privata; un timore che attualmente è sempre più marcato a causa di invadenti social network e telefoni cellulari.

Il microcosmo che mette in scena Balagueró è simile alle pareti a tenuta stagna che vedevamo in [REC], con la differenza, che qui c'è una verosimiglianza capace di far raccapriccio a chiunque; un film così realistico, che vorremmo urlare a tutti i coinquilini dell'appartamento la verità, in cui è impossibile non immedesimarsi con Clara in quel senso di violazione della privacy e conseguente perdita dell'ambiente quotidiano, a causa di un violento agente esterno.

 

 

Non è solo la plausibilità dell'ambientazione a terrorizzare il pubblico, ma anche ogni situazione e dinamica dei personaggi è credibile e coerente.

In questa specie di spaccato di vita a spiccare è proprio l'insignificante César: non un serial killer o un disturbato mentale, bensì un uomo solo, annoiato, che si consola della sua vita grama godendo nell'infelicità altrui.

Ed è nel suo essere insulso e futile, che César sorprende e diventa uno dei cattivi, più naturali e inspiegati della storia del cinema: insopportabile, ingiustificato e crudele. Si potrebbero scrivere pagine e pagine sul personaggio realizzato da Balagueró e Alberto Marini, rassomigliante ad un Nietzsche moderno ed estremizzato: un protagonista che ha come filosofia di vita un nichilismo estremo, non disdegnando neppure il suicidio come via di fuga da questa vita infame, attaccando verbalmente le persone con un senso disfattista, che nel suo distruggere qualsiasi convinzione sembra uscita direttamente da questa corrente di pensiero.

 

"Lei è buona signora Veronica, non capisco perchè sia ancora da sola, sì, senza figli, nè nessuno accanto, sarà sempre più difficile. Lei è anziana, e lo sarà sempre di più ed è un peccato che debba consumarsi da sola in questo appartamento, perchè i cani la aiutano, certo, ma non sono figli. Sono solo dei bastardi, non prendiamoci in giro. Perchè io lo vedo, passo molte ore qui con gli inquilini e li sento parlare... e mi rendo conto. Sì, fanno vedere che la ascoltano, ma perchè gli fa pena. In fondo di lei, non gliene frega un cazzo. Perciò non si fidi, dia retta a me, signora, lei è vecchia e terribilmente sola e, mi creda, la compatisco, perchè a questo non c'è rimedio. Grazie mille per lo stufato..."

 

La psiche di César è tormentata, dedita a fare del male non come uno squilibrato, ma come un bambino invidioso che fa dispetti e scherzi malefici senza rendersene conto; un bimbo che sentendosi emarginato dalla ricchezza, non intesa in senso danaroso, ma di felicità, risponde con spregi e ripicche che purtroppo provengono da una mente adulta e non infantile.

Si potrebbe pensare ad una critica sociale, ma non è affatto quello l'intento del regista: il suo scopo è voler dare un senso di realismo alla storia e ai personaggi, per avere un risultato, oltre che efficace, che dia un forte senso dell'orrore all'intera vicenda; inquadrando César come mostro, non chimerico, ma tangibile nella società, mostrando come con un semplice mazzo di chiavi e del cloroformio sia possibile elevarsi a demiurgo e manipolatore delle vite altrui.

 

 

 Un film che è la rappresentazione antisociale ed analitica della superficialità delle relazioni umane odierne, con un protagonista indimenticabile dovuto soprattutto alla prova perfetta di Luis Tosar, grigio e apatico.

Si deve ringraziare la sceneggiatura di Alberto Marini se possiamo godere di tutto questo: scritta con notevole misura e costruzione, oltre ad essere avvincente nella sua trama continuamente spiazzante (che è davvero un peccato raccontare), solleva, inoltre, importanti quesiti morali.

Questo è solo il primo degli aspetti tecnici che eccelle in questo film: non c'è una stonatura, neppure nel finale velenoso e senza pudore; un climax ascendente in cui sono la regia e il montaggio a farla da padroni.

 

Il montaggio di Guillermo De La Cal è preciso e lineare, ed ha il pregio di regalarci momenti euforici e pieni di suspance durante quel gioco di nascondigli che si susseguono nella spaziosa abitazione; si rimane costantemente col fiato sospeso in quei continui stacchi che potrebbero significare un nuovo colpo di scena o un nulla di fatto, che è comunque emozionante allo stesso modo.

Balagueró non abbandona il suo stile personale ritraendo un angosciante condominio, che diventa una gabbia di malefatte e torture; facendo leva su chiaro-scuri quali: la luminosa luce delle lampadine o della luna che colpisce Clara, contrapposta all'oscurità polverosa sotto il letto che avvolge completamente César.

Sfilando sinuosa tra le mura domestiche, la cinepresa ci fa avvertire un senso claustrofobico, che non scompare neppure negli spazi aperti, tramite l'ottima scelta di emarginare il mondo esterno non mettendolo mai a fuoco, o lasciandolo fuori campo.

Le sue soggettive ai personaggi, poi, sviscerano meglio di qualunque parola i loro pensieri: dai primi piani di César, impegnato nel mantere espressività e tono di voce sobri, a quelli di Marcos, un fidanzato dubbioso.

Il tutto condito da un'accattivante colonna sonora di Lucas Vidal: da artista indipendente, con questo film sale giustamente alla ribalta, non lasciando un attimo di respiro allo spettatore con musiche altissime e prepotenti che avvolgono qualsiasi rumore per dare maggior senso del pericolo.

 

 

Se non volete i soliti spaventi e cercate qualcosa lontano dai soliti standard dell'horror americano, il film di Balagueró è un'ottima scelta per trovare inquietudine e turbamento.

L'indiscutibile prova della maturità del cineasta catalano, oltre ad essere un capolavoro sotto tutti gli aspetti: con un Luis Tosar magnifico, una regia distintiva e piena, ed un ritmo ascendente unico... Propone un'alternativa agli horror moderni: quella di ripartire da storie di uomini cattivi; dalla tensione che nasceva grazie ad una profonda immedesimazione fino a quegli inconsci enigmatici e gli sguardi minacciosi che solo maestri del calibro di Hitchcock sapevano darci, con pellicole quali "Psycho" o "Rebecca la prima moglie".

Chissà, se in un futuro prossimo o remoto, accanto a Norman Bates e Hannibal Lecter non apparirà proprio il mite César.

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