Regia di David Wain vedi scheda film
Roba da non credere, questa pessima, insulsa commediaccia, una pagliacciata da qualunque lato la si voglia vedere. E’ meglio non guardarla affatto, infatti.
Si tratta di una sorta di (involontaria) apologia della stupidità, l’ennesima farsa made in “Apatow town” (qui in veste di produttore, ma, come sempre, c’è il suo “marchio” impresso a fuoco), che si poggia su una “sceneggiatura” senza capo né coda che non è altro che un collage malassortito di gag puerili e straviste, ultraprevedibili, tali che vien voglia di alzarsi anzitempo ed andare ad occupare meglio il proprio tempo. Se solo non si fosse stati così stupidi (appunto) ad averci buttato via i soldi ...
Nudi e felici (titolo originale: Wanderlust), in larga parte ambientato in una comune, è pervaso da una “comicità” scontata e banalissima, che propone i peggiori clichè e quindi ecco i vari fricchettoni fuori dal tempo, la condivisione di tutto, le droghe, l’amore libero, i cattivoni che vogliono impadronirsi della terra per costruirci un casinò (ora, non so come funzioni in Georgia, ma lì non esistono i pubblici registri? Possibile che se uno perde, o brucia intenzionalmente come accade nel film, l’atto di proprietà, deve attaccarsi al tram e perdere tutto?), la vita più “easy” lontana dalle nevrosi urbane, le nudità (altro must apatowiano: un tizio che s’aggira col pisello in “bella” mostra), il vecchio bacucco rincitrullito (Alan Alda, poveri noi!), e bla bla bla delirando. C’è, in sostanza, tutto quello che ci si può aspettare, ma fatto male, molto male. E niente riflessioni né messaggi, nemmeno lievi e/o vaghe (e il finale, semplicistico, buonista, inverosimile, ridicolo, sta a certificarlo), poiché ogni cosa è condizionata, subordinata, dalla spasmodica ricerca della trovata ad effetto.
Oltretutto - "piccolo" dettaglio - il film non fa ridere.
Persino nei pecorecci anni settanta avrebbero saputo sfruttare meglio la storia - per dire - ed avremmo almeno avuto qualche motivo d’interesse, risiedente nelle ornamentali figure femminili …
Qui invece ci tocca la - tozza e pure un po’ cozza - Jennifer Aniston, una baciata dal successo (mistero insondabile, data la evidente mancanza di qualsivoglia virtù) da quando da ragazza “perbene” si vide soffiare il boyfriend dalla “bad girl” Angelina Jolie. E da allora ci campa sopra, e continua imperterrita a sbattere il suo faccione e la sua insipienza in pellicole tutte uguali tutte brutte. Ma, se possibile, viene nell’occasione “superata” dall’altro protagonista, il terribile Paul Rudd, ossia il meno talentoso della factory di Apatow (per fare un esempio, in Molto incinta c'erano Seth Rogen, Jonah Hill, Jason Segel, Jay Baruchel, Bill Hader), tizietto belloccio senz’anima e senza carisma, e con un’espressività vicina allo zero (nei titoli di coda, quando vengono trasmessi gli errori sul set - non mancano pure quelli, maddai! - lo si vede affermare, durante una patetica scena allo specchio: “mi faccio schifo da solo!” …).
Una coppia perfetta per una perfetta schifezza.
Questo tipo di opere, naturalmente, per tirare avanti e distogliere l’attenzione dalla pochezza ivi insita ed aggiungervi un po‘ di sapore, necessita come l’ossigeno di comprimari validi a cui far indossare i panni di variopinti figuri schizzati, stravaganti, fuori di testa - quelli insomma che sorreggono il film, con le loro più bizzarre azioni, sui binari dell’ilarità contagiosa. Fallendo squallidamente anche in questo obiettivo, in Nudi e felici certi personaggi sono tutti sterili macchiette, inconsistenti e finanche fastidiose. Come il fratello del protagonista, interpretato da Ken Marino (anche coautore della sceneggiatura, grande!), che s’agita e s’affanna penosamente non risultando mai credibile né tanto meno divertente. Ma assai irritante sì. Il (piacevole) ricordo di lui nel simpatico ruolo del demone gay e “buono” della serie tv Reaper s'è decisamente affievolito …
Non ce n’è uno che si salvi, o che quantomeno si dimostri minimante interessante. Nella parte di Seth, il mistico e onnisciente capobranco della comune, troviamo Justin Theroux, impegnato - per così dire - a dare forma a una figura insignificante e fastidiosa. Gli echi lynchiani appartengono a un’altra dimensione …
Detto anche di Alan Alda (perdoniamolo, dai), lo scialbo popolino della happy family è contraddistinto da personaggi(ni) sciatti e malriusciti, come venuti fuori da faticose sedute di ideazione e scrittura irrigate da estreme (e consapevoli?) ristrettezze creative e probabilmente da sostanze ad alto tasso di rimbecillimento, in cui persino una sventola come Malin Åkerman risulta trascurabile, una presenza ectoplasmatica …
Nell'ignobile tritarifiuti filmico finisce pure Ray Liotta (breve cameo nel finale) nel ruolo di sé stesso, atto ad imparare la vita da comune in vista di una realizzazione cinematografica che narra le vicende dei suoi brillanti abitanti, tutti diventati famosi e/o scrittori di successo.
Che miseria.
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