Regia di Daniele Ciprì vedi scheda film
Due sono le importanti novità per Ciprì in questo È stato il figlio: la prima è che si tratta del primo lavoro in totale indipendenza dallo storico sodale Maresco, la seconda è la linearità della trama, che segue una sceneggiatura scritta dallo stesso regista con Massimo Gaudioso, dal romanzo omonimo di Roberto Alaimo. In continuità con i precedenti lavori c’è invece la fotografia, come d’abitudine in mano allo stesso Ciprì, che ci restituisce una per lui convenzionale (ma sempre affascinante) immagine di una Palermo angosciata e angosciante, dai cieli grigi e perennemente increspati, come fosse in costante presagio di una qualche apocalisse in arrivo; allo stesso modo i personaggi non possono dirsi più di tanto distanti da quelli miserabili – moralmente o materialmente che sia – degli sketch televisivi di Cinico tv o dei vari disperati che abitavano le pellicole passate del regista da Lo zio di Brooklyn (1995) in poi. Ulteriori affinità possono quindi ritrovarsi con i lavori di Roberta Torre, della quale Ciprì ha diretto la fotografia più volte, come per esempio nell’uso antidrammatico (ironico) delle musiche non originali; quelle originali, ben assestate, sono opera di Carlo Crivelli. E ovviamente una nota di merito particolare va spesa per Toni Servillo, l’unico attore italiano che si sia mai potuto permettere di scegliere la sua intera carriera in base agli autori e ai contenuti piuttosto che alla pubblicità e alle aspettative commerciali - dopo quel gigante inarrivabile di Volontè, si capisce; bravi anche gli altri interpreti con menzione dovuta per Giselda Volodi e Fabrizio Falco (premiato a Venezia, così come il regista). Ma non tutto è perfetto in questo È stato il figlio; l’uso di un dialetto stretto impedisce la comprensione dei dialoghi in più punti per chi non mastica il vernacolo siculo, tanto per cominciare. E poi occorre considerare che senza il colpo di scena conclusivo la trama sarebbe realmente poco di originale e che tutta la struttura del film è sulle spalle del solo Servillo, l’unico personaggio caratterizzato in maniera ottimale; nonostante alcuni difetti di non eccessivo conto, comunque, È stato il figlio ha una dote sensibilmente importante: ed è quella di raccontarci – nonostante l’ambientazione nella Palermo di qualche decennio fa – i malesseri dell’Italia contemporanea usando gli stessi espedienti della gloriosa commedia all’italiana che fu. Cioè la caricatura, l’iperbole, quel tocco di cinico sarcasmo che è in grado di delinare personaggi e situazioni per antitesi, mostrando i difetti e le brutture (anche qui: morali e materiali) come ‘parte del paesaggio’, nella loro più totale accettazione. Ecco, forse è questo il merito principale del film: descrivere senza retorica lo sfacelo dell’Italia odierna, miserrima, sudicia, immorale ma sempre all’avanguardia nell’arte di arrangiarsi. 6,5/10.
Palermo. Nicola lavora sodo per mantenere la famiglia (genitori anziani, moglie e due figli); quando la mafia gli uccide la bambina, Nicola scopre di poter richiedere un cospicuo indennizzo allo Stato. Comincia così a fare debiti e compra anche una Mercedes che tratta con cura maniacale.
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