Regia di Daniele Ciprì vedi scheda film
Brutti , sporchi e cattivi. Brutti perché la povertà costringe a rinunce, all’abbruttimento necessario per confondersi col paesaggio, alla rinuncia di tutto il superfluo compresa la grazia delle cose belle. Sporchi perché il lavoro è pesante e costringe a insozzarsi di ruggine e grasso nei cantieri e il caldo appiccica di sudore la camicia alle ascelle e spesso nel quartiere tolgono l’acqua per deviarla verso la città. Cattivi loro malgrado, inconsapevolmente, abitanti di un luogo alieno che sembra una giungla pietrificata. Animali in cattività che lottano per la sopravvivenza.
L’esordio alla regia di Daniele Ciprì, vincitore alla 69° Mostra del Cinema di Venezia del Premio Osella per il contributo tecnico e la Coppa Mastroianni per il miglior giovane attore, Fabrizio Falco, è folgorante. Se non ha vinto qualcosa di importante è per la sua natura realista e grottesca al tempo stesso che sospende il film tra lo spaccato di vita e l’iperbole poetica del reale scambiando frequentemente il registro comico e quello drammatico in una dialettica illuminata che ripesca le istanze di Sergio Citti e la sua umanità borderline, Pasolini per i versi da marciapiede nel tratteggio poetico (in)urbano della periferia degradata, l’umorismo cattivo del Salce dei primi Fantozzi, e una buona spruzzata di Cinico TV. Qualcosa di molto lontano dall’idea di entertainment di Michael Mann, presidente di giuria in quel di Venezia.
La famiglia Ciraulo, lui lei genitori di lui, figlio e figlioletta, residenti nel quartiere Zen di Palermo vivono di stenti al cantiere, fino a quando in un agguato di mafia per sbaglio riamane uccisa Serenella, la figlia piccola. Inizia una lunga trafila per ottenere un risarcimento dallo stato per i delitti di mafia (ma quale mafia? dice il capofamiglia) che sfocerà nell’acquisto trionfale di una Mercedes nuova di zecca da tenere parcheggiata in cortile per mostrare ai vicini l’agognato arricchimento. Quando Tancredi, il timido e complessato figlio più grande in un moto di indipendenza sfregia il prezioso veicolo, la frustrazione del padre lo porta ad un conflitto molto più che generazionale che avrà il suo sbocco naturale nell’omicidio. E’ stato il figlio(?)
E’ stato il figlio è un film semplice e complesso al tempo stesso. Semplice e lineare nella storia e nel beffardo finale, complesso per tutta una serie di segni e allusioni che arricchiscono l’opera, saturandola di un senso esclusivo in ogni inquadratura. Intenso affresco della subcultura del sud disgraziato e triste intrecciato con la più grande tradizione cinematografica della commedia all’italiana che fonde in maniera sublime tratti da tragedia con l’umorismo acido dal retrogusto poetico. Visivamente aggressivo, il film di Ciprì non è indulgente con l’ignoranza e la violenza della cultura del degrado nella quale non c’è redenzione ma solo un senso del ridicolo stemperato dai poveri sogni di cui sono capaci i poveri reietti. Cattivo nella trattazione del contesto urbano ma affettuoso nel trasformare Toni Servillo in Nicola, la macchietta dell’uomo di casa del sud che trova nel figlio Tancredi la catarsi dolce, innocente e ingenua che fungerà da agnello sacrificato sull’altare della sopravvivenza.
Geniale e divertente, commovente e triste, il registro drammatico si sposa con quello comico nella narrazione del personaggio di Alfredo Castro ( già straordinario interprete di due film di Pablo Larrain, Tony Manero (2008) e Post mortem (2010)) che rimembra ai clienti delle poste in fila col numero, strane storie sospese tra verità e leggenda, leggende che molto spesso nascondono verità, tra cui quella del figlio che un giorno uccise il padre. Il gusto dello sberleffo stempera ogni seriosità, così come lampi surreali conducono pudicamente lo sguardo verso un punto di fuga lontano dall’estetica disgustosa dell’umanità cinica che viene presentata (umanità cinica che è presente in Ciprì per i suoi trascorsi con Maresco di Cinico TV) . Estasi del teatro dell’assurdo beckettiano, un vecchio elegantemente vestito di nero stazione immobile nel cortile del quartiere, tra bambini vocianti è testimone dei fatti e attende chissà cosa, mentre il tempo passa scandito solo dai rifiuti che vengono spazzati dal vento e quel sangue a terra che non si asciuga. Sarà Vladimiro o Estragone? Testimone muto (siamo in Sicilia) attende un Godot, una salvezza, una speranza che come da tradizione non si palesa mai. Mentre l’incontro con lo strozzino, sig. Pino incarnato di volta in volta da due persone diverse, echeggia come Panco Pinco e Pinco Panco del paese delle meraviglie di Alice. La favola triste della sub -urbanità sospesa nell’omertà intellettuale dei suoi protagonisti fa di E’ stato il figlio, una boccata d’aria fresca nel panorama cinematografico italiano.
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